Fonte: http://storia-controstoria.org/governo-ombra/hollywood-e-cia/
Era stato il presidente Truman, apponendo la sua firma al National Security Act nel lontano 1947, a suggellare la fondazione della CIA (Central Intelligence Agency) che ufficialmente aveva il compito di individuare, raccogliere e valutare informazioni che potessero ledere la sicurezza nazionale. Se il raggio d’azione dell’FBI, che svolge il medesimo compito, si espande principalmente all’interno degli Stati Uniti, quello della CIA non conosce confini. Lo stesso vale per le missioni della CIA che vanno ben al di là degli obiettivi dichiarati ufficialmente. Al soldo del potere più tetro, da sempre la CIA effettua operazioni paramilitari e propagandistiche segrete, organizza attentati, rivoluzioni e colpi di Stato in tutto il mondo. Di questo programma fa parte anche l’industria cinematografica di Hollywood, così come i mass media in generale, insomma la fucina di una realtà made in USA imposta a tutto il Globo. A volte completamente inventata, a volte sapientemente pilotata.
Hollywood, ovvero l’America che non è mai esistita
Ricordate quei film degli anni Sessanta in bianco e nero, in cui ci mostravano le cittadine americane di provincia con le piccole villette a bungalow corredate di giardinetto con piscina? Quelle famiglie tipicamente borghesi con la mamma che preparava sandwich nella cucina ben attrezzata, elettrodomestici all’ultima moda, arredamento un po’ shabby ma confortevole, mentre il pater familias leggeva il solito giornale e i ragazzi paffutelli afferravano il bicchierone di latte fresco di frigorifero e poi si facevano fuori una ciotola di fiocchi d’avena, due toast alla marmellata e quant’altro? Alla fine i membri della famiglia uscivano di casa, il sorriso sulle labbra, salutandosi con il classico “I love you”.
Il tutto era costantemente accompagnato da una musichetta gioiosa, fuori il sole splendeva sempre, per non dimenticare poi l’anziano vicino dalla faccia simpatica con la camicia a quadri e la pompa in pugno, intento ad innaffiare le piante del giardino. E davanti ai garage di queste ottime famiglie, poco distante dall’onnipresente bandiera a stelle e strisce, sostavano macchine gigantesche, di tutti i colori, spaventosi transatlantici da città. Oppure si vedevano quei pick-up di campagna altrettanto enormi, immancabili, eredi motorizzati dei carri di pionieri ottocenteschi. Tutto sembrava gigantesco in America: le macchine, le possibilità, la felicità delle famiglie. Il regno dei sogni.
Oggi questo modello ci viene riproposto, anche se in chiave differente. La mamma che spalmava crema burro di nocciole sui sandwich dei bambini è scomparsa lasciando il posto alla donna che lavora, perfetta e multitasking, la cucina comoda e shabby è diventata una cucina di lusso a tutti gli effetti e può essere che a volte manchi la figura, prima indispensabile, del padre. Ormai anche la locazione della campagna-paradiso ha lasciato il posto alla vita cittadina, spesso gli appartamenti sono situati in grattacieli eleganti. Però… ci avete fatto caso? Tutti sono sempre molto bravi e buoni, si ripetono circa dieci volte al giorno “I love you- I love you – I love you…”, anche al telefono. Soprattutto al telefono. Peccato che questi modelli proposti al cinema siano un’esigua minoranza di fortunati, mentre molte delle vere famiglie americane di un tempo che vivevano nella villetta di campagna sono andate in rovina e nelle strade delle grandi città il numero dei poveri senzatetto (quelli vestiti da capo a piedi con le borse di plastica che di solito si usano per fare la spesa) aumenti in modo esponenziale. Gli Stati Uniti sono marci e la puzza ormai si sente da un pezzo. Ma Hollywood continua a vendere sogni.
La propaganda serrata che intende mostrare un’altra America, un’America inesistente, non si limita però soltanto a questo. Vuole imporre anche un’altra immagine del mondo per poter continuare indisturbata a tessere i suoi intrighi politico-economici senza che a nessuno venga in mente di metterle i bastoni fra le ruote. E questo è forse il lato più pericoloso della propaganda hollywoodiana. Perché il cinema, così come la televisione, può essere uno strumento molto efficace di lavaggio del cervello. I capi della CIA l’hanno capito molto presto. Gli studi sulle tecniche più efficienti per influenzare la psicologia delle masse erano iniziati in grande stile negli USA alla metà degli anni Quaranta con la fondazione dello “Stanford Research Institute”. Dunque pensate quanta esperienza ormai ha questa gente nel suo triste mestiere.
Mass media e PAO
PAO è la sigla del Public Affairs Office, l’organo della CIA che si occupa di coordinare ed amministrare i rapporti fra il governo americano e i mass media. In parole povere significa che quest’organo si occupa di dirigere la propaganda dei mass media e quindi di “assistere” gli autori e i film maker di cinema e televisione. Già la produzione cinematografica americana durante il periodo della Guerra fredda aveva un ruolo molto importante agli occhi della CIA perché doveva diffondere l’ideale di una società democratica e anti comunista in prima linea in America, soprattutto in quegli Stati in cui le masse erano, per la maggior parte, poco istruite e quindi maggiormente sensibili ad una propaganda effettuata per mezzo dell’immagine. Gente come i registi John Ford e Cecile B. De Mille e attori come John Wayne erano fortemente patriottici, i soggetti più indicati a diffondere questo messaggio.
Anche la famosa soap opera statunitense degli anni Ottanta “Dynasty” faceva parte del programma. Aveva lo scopo di mostrare la bella vita della ricchissima famiglia statunitense per diffondere l’idea dei benefici del modello capitalistico a scapito di quello comunista. In questo caso era stato Paul Berry, l’ufficiale della CIA responsabile del PAO, ad incrementare la nascita della serie. Anche la sceneggiatura della recente fiction “Homeland”, un grande successo negli Stati Uniti e all’estero, è stata scritta sotto il controllo di esperti della CIA, così come la serie “Alias” di J.J. Abrams e i successi cinematografici “Syriana” di Stephen Gaghan, “L’ombra del potere” di Robert de Niro, “Sale” di Phillip Noyce, “The Bourne Identity” di Doug Liman, soltanto per citare alcuni esempi.
Se osserviamo lo sviluppo di questa filmografia, ci accorgeremo infatti che inizialmente il classico “cattivo” era sempre un russo, dunque lo spauracchio tipico dei tempi della Guerra fredda. Poi, lentamente, l’immagine è cambiata spostandosi in ambiente Mediorientale e adesso prevalgono sul russo l’arabo, l’iraniano oppure l’iracheno. In realtà il gioco della CIA è diventato talmente primitivo ed elementare che dovrebbe essere immediatamente individuabile. Invece questo non è il caso. La maggior parte della gente ancora non se ne rende conto. O forse non vuole rendersene conto? Perché è più comodo credere nell’esistenza di un cattivo adeguato al governo più forte del momento. Ma sarà davvero così? Gli USA saranno i più forti ancora per molto?
In ogni caso per il momento dobbiamo essere consapevoli che la maggior parte di ciò che esce dagli stabilimenti televisivi e cinematografici statunitensi è pilotato, è censurato, talvolta scritto di concerto con il beneplacito di chi intende portare avanti una propaganda in grado di influenzare e addirittura plasmare il pensiero dei popoli. Se da una parte ci vengono presentati spettacoli di puro svago che hanno il compito di non farci pensare, di distrarci mentre magari nelle stanze dei bottoni vengono prese decisioni importanti a nostra insaputa, dall’altra intendono sottoporci ad un costante, radicale lavaggio del cervello.
Il 5 ottobre 2001 il giornale The Guardian scriveva:
“Per la prima volta nella sua storia la CIA ammette ufficialmente l’esistenza di una relazione pubblica con il veterano operante a Hollywood Chase Brandon che ha dedicano 25 anni della sua carriera a difendere la democrazia.”
“Difendere la democrazia”, detto così sembra quasi che Brandon abbia compiuto un atto eroico. Nel 1996 la CIA ha reso pubblica la fondazione dell’Entertainmente Liaison Office, un organo di controllo che avrebbe strettamente collaborato con i mass media, a cui faceva capo appunto Chase Brandon, l’ufficiale citato da The Guardian nel 2001, il quale aveva buoni contatti con Hollywood essendo cugino dell’attore Tommy Lee Jones. In realtà, come abbiamo visto, l’attività di controllo sui mass media andava avanti già da decenni.
La censura di Luraschi e la strana morte di De Vore
Negli anni Cinquanta questo compito di censura e propaganda veniva svolto da Luigi Luraschi che lavorava per la Paramount e, contemporaneamente, per la CIA come si è scoperto una decina di anni fa. L’obiettivo centrale era quello di salvaguardare e lucidare l’immagine limpida degli USA offerta dall’industria cinematografica. Un esempio evidente delle sue ingerenze nelle pellicole hollywoodiane si rivelò nel modo di presentare i cittadini afroamericani che, su richiesta di Luraschi, dovevano sempre essere ben vestiti per poter contrastare la propaganda russa, la quale di contro metteva in risalto il razzismo USA.
Ovviamente questi servigi di cui godeva la CIA non erano gratuiti, venivano pagati con ingenti somme di denaro. Un altro metodo di intromissione nelle sceneggiature dei film oggi largamente impiegato dalla CIA è quello di offrire del materiale di informazione allo scopo di rendere i film più vicini alla realtà. Ex agenti della CIA collaborano quindi in qualità di informatori, altri invece lavorano direttamente con l’autore come nel caso di Tom Clancy, oppure è l’ex agente stesso ad ideare la fiction, come nel caso di Michael Frost Beckner con la serie televisiva “The Agency“. È chiaro che tutto questo non è un aiuto spassionato, ma persegue scopi ben precisi di disinfomazione. Scriveva il The Guardian del 14.11.2008:
“Quindi si modificano gli scritti, si finanziano dei film, si sopprime la verità: questo è abbastanza preoccupante di per sé. Ma ci sono casi i cui si pensa che le attività della CIA a Hollywood siano andate anche più lontano, così lontano da essere esse stesse il materiale di un film.”
Nel giugno 1997 l’autore Gary De Vore stava scrivendo la sceneggiatura per il suo debutto. Si trattava di un film d’azione sul retroscena dell’invasione USA a Panama nel 1989 che portò alla deposizione del dittatore Manuel Noriega. De Vore ha quindi contattato un vecchio amico della CIA, il sopracitato Chase Brandon, e si è intrattenuto con lui su Noriega e sul programma degli USA contro il narcotraffico nell’America latina. Ma alcune cose che aveva scoperto nella sua ricerca disturbarono De Vore, per esempio le somme enormi di denaro sporco che finivano dalle casse della banche panamensi a quelle del governo americano. A lla fine l’autore sconcertato e impaurito lasciò perdere e si dedicò ad un altro progetto. Ma era già troppo tardi. Alcuni mesi dopo, mentre de Vore si trovava per lavoro in California, telefonò per l’ultima volta alla moglie e poi scomparve per sempre. Per mesi si formularono le ipotesi più disparate sul ciò che poteva essergli successo. Il suo cadavere fu scoperto soltanto un anno dopo, chiuso nell’auto che era sparita insieme con lui nel fondo di un canale della Sierra Nevada.
In seguito all’autopsia dei poveri resti dell’autore, si dichiararono delle cause di morte sconosciute. Si pensò quindi ad un incidente. Probabilmente De Vore si era addormentato alla guida, era uscito dall’autostrada senza nemmeno accorgersene e quindi precipitato in acqua. Ma nell’auto non si trovò il suo computer portatile, uno strumento di lavoro che De Vore portava sempre con sé. Inoltre il guard rail dell’autostrada non presentava, nel punto fatale in cui sarebbe avvenuto l’incidente, nessun segno di danneggiamento.