Una revisione dei dati esistenti ha portato quattro ricercatori pisani a concludere che il mais ogm non comporta rischi per la salute umana e l’ambiente. Ma il professor Salvatore Ceccarelli replica: «Conclusione frutto di un esame parziale del problema. Gli ogm fanno malissimo alla biodiversità e all’ambiente e ci sono ormai solide evidenze su questo».
È destinato a sollevare critiche e polemiche lo studio pubblicato su “Scientific reports” da quattro ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che hanno considerato i dati esistenti sulle coltivazioni ogm. L’analisi ha concluso che per il mais transgenico le rese sarebbero superiori ai raccolti convenzionali e che il suo utilizzo non comporterebbe rischi per la salute umana e l’ambiente. A replicare prontamente è il professor Salvatore Ceccarelli, già docente di genetica e miglioramento genetico all’università di Perugia e oggi consulente per diversi progetti di miglioramento genetico nel mondo.
«Premetto che ad oggi esiste una mole significativa di evidenze che attestano i rischi che gli ogm recano all’ambiente e la letteratura sta producendo ricerche anche in merito agli effetti sulla salute – spiega Ceccarelli – ma voglio soffermarmi soprattutto sul fatto che non si possono avere pretese di affermazioni conclusive o definitive quando si considera solo una parte di un problema estremamente complesso».
«Come si fa spesso e come fanno spesso, bisogna dirlo, dalla parte opposta anche taluni ambientalisti, si considera sempre l’aspetto che più colpisce emotivamente l’opinione pubblica, che più ha efficacia sull’immaginario collettivo, cioè quello della nutrizione e della salute. Ma non si può dimenticare che, come ormai è stato dimostrato e sperimentato ovunque nel mondo si coltivino ogm, queste colture contaminano ciò che sta intorno e agiscono in maniera molto negativa sugli equilibri ambientali. Pensiamo, per esempio, alle erbe infestanti e agli insetti: chi produce e coltiva ogm lo fa per contrastare sia le une che gli altri. Ma, come vuole una ineluttabile legge biologica, gli organismi viventi si “organizzano” per nascere e crescere e se ciò viene loro impedito, in qualsivoglia modo, non faranno altro che modificarsi per resistere ai nuovi contesti così generati. Per gli ogm significa che si hanno, e questo accade già ed è già chiarissimo, erbe infestanti e insetti che si sono evoluti e modificati in modo da resistere alle nuove colture e a erbicidi e pesticidi impiegati di conseguenza. Quindi è un circolo vizioso, è un business che risponde perfettamente alla logica dell’obsolescenza programmata e che ci rende schiavi del bisogno di nuovi ogm per combattere sempre nuovi infestanti e parassiti. Nel totale spregio della biodiversità naturale che così viene irrimediabilmente compromessa. Per non parlare della schiavitù che si genera negli agricoltori, completamente succubi delle multinazionali che producono sementi ogm e relativi erbicidi e pesticidi. È così che vogliamo trasformare l’agricoltura? Ci sono molte alternative e soluzioni differenti che non hanno questi altissimi costi da pagare. Peraltro, con il diffondersi oggi delle tecniche di gene editing, tornare a promuovere i vecchi ogm suona quasi come anacronistico».
Tornando al tema della salute, il professor Ceccarelli aggiunge: «Riflettiamo anche sugli studi che oggi si stanno conducendo e pubblicando sul microbioma umano la cui preziosa importanza per il nostro sistema immunitario si fonda sulla ricchezza nutrizionale e la diversità di ciò che mangiamo. Come facciamo a mangiare diversità se si coltiva uniformità? È bene quindi fare molta attenzione prima di trarre conclusioni sulla base di analisi effettuate senza considerare attentamente tutti gli aspetti di problemi estremamente complessi».
Si legga anche lo studio comparso su Lancet nel 2015 che afferma come non ci sia consenso scientifico sulla sicurezza degli ogm
Un’altra lettura utile: “Ogm, vent’anni di fallimenti”
Molto interessante anche l’intervento del dottor Pietro Perrino in replica allo studio pisano
Sulla base dell’analisi di Infogm , nel 2017 la superficie europea coltivata con piante transgeniche è diminuita rispetto al 2016, passando da 136.338 ettari e a 130.571 ettari.
Interviene anche Greenpeace sottolineando come le colture OGM, «considerate una panacea per la produzione di cibo, costituiscano in realtà un freno per l’innovazione ecologica in agricoltura. Sottopongono l’agricoltura al controllo e ai brevetti di poche aziende agrochimiche e a rischi imprevedibili, a danno della biodiversità e del nostro made in Italy».
«La maggioranza delle colture OGM ha come caratteristica principale la resistenza agli erbicidi o a determinati parassiti, ma la vera sfida per l’agricoltura del futuro è la capacità di adattarsi a un clima che cambia, svincolandosi dall’uso di sostanze pericolose” dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. «Mentre mancano colture OGM “resilienti” ai cambiamenti climatici, esistono tecniche di selezione molto più all’avanguardia ed efficaci come la Mas (Marker Assisted Selection – Selezione Assistita da Marcatori), che sfrutta la conoscenza del Dna per identificare le caratteristiche migliori delle diverse varietà, per effettuare gli incroci più convenienti, senza le problematiche degli OGM. La Mas sta già avendo brillanti risultati come varietà di frumento resistenti alla siccità e varietà di riso resistenti alle inondazioni, già coltivate dagli agricoltori» prosegue Ferrario.
«Bisogna investire fondi (pubblici e privati) per una ricerca che serva a sviluppare pratiche e soluzioni sostenibili e l’agroecologia sta già dimostrando il suo potenziale, come riconosciuto anche dai 400 scienziati di fama mondiale, membri dell’International Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development (IAASTD), finanziata dall’ONU. La protezione delle colture deve avvenire con un approccio a più livelli: aumentando l’eterogeneità e la diversità dei paesaggi agricoli, tutelando gli habitat degli impollinatori e favorendo i naturali meccanismi di lotta biologica agli infestanti».
Ascolta l’intervista a Gianni Tamino su Radio Onda d’Urto
Gianni Tamino è docente di biologia generale e di fondamenti di diritto ambientale all’Università di Padova; è altresì docente del corso di perfezionamento in bioetica.