Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=3111&biografia=Antonio+Rosmini
Antonio Rosmini (il cui nome completo è Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati) nasce il 24 marzo del 1797 a Rovereto (località che all’epoca appartiene all’Impero austro-ungarico), secondogenito di Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa e Pier Modesto. Cresciuto con Giuseppe, suo fratello più piccolo, e Margherita, sorella maggiore entrata a far parte delle Suore di Canossa, Antonio, dopo aver concluso l’Imperial Regio Ginnasio della sua città natale, prosegue gli studi teologici e giuridici all’Università di Padova, prima di ricevere l’ordinazione sacerdotale a ventiquattro anni, a Chioggia.
Nel corso degli anni, incoraggiato da papa Pio VII, comincia a crescere in lui una inclinazione molto accentuata verso gli studi di filosofia: le sue tesi, in particolare, sono volte a contrastare tanto il sensismo quanto l’illuminismo, ma polemizzano anche con il comunismo e socialismo. Egli, infatti, ritenendo che i diritti naturali della persona, incluso il diritto alla proprietà privata, siano inalienabili, pensa a uno Stato ideale il cui intervento è il più possibile ridotto all’osso.
Nel 1826 Rosmini si sposta a Milano, dove ha l’occasione di conoscere Alessandro Manzoni, con cui instaura una profonda amicizia (l’autore dei “Promessi Sposi” lo definirà “una delle intelligenze che più onorano l’umanità”). Due anni più tardi, lascia definitivamente il Trentino a causa di una pesante ostilità manifestata nei suoi confronti dal vescovo austriaco di Trento Giovanni Nepomuceno de Tschiderer (futuro beato) in virtù delle sue posizioni anti-austriache; e così, decide di fondare la congregazione religiosa dell’Istituto della Carità al Sacro Monte Calvario di Domodossola, la cosiddetta congregazione dei Rosminiani, le cui Costituzioni vengono approvate nel 1839 da papa Gregorio XVI.
Dopo aver scritto “Il nuovo saggio sull’origine delle idee” (nel 1830), i “Principi della scienza morale” (l’anno successivo), la “Filosofia della Morale” e l'”Antropologia in servizio della scienza morale” (rispettivamente nel 1837 e nel 1838), la “Filosofia della politica” (nel 1839), la “Filosofia del diritto” e “Teodicea” (tra il 1841 e il 1845), nel 1848 pubblica “Sull’unità d’Italia” e “Le cinque piaghe della santa Chiesa”, composta sedici anni prima: un’opera in cui l’autore mostra di allontanarsi dall’ortodossia del tempo, e che per questo motivo verrà messa all’Indice poco tempo dopo, dando vita a una polemica conosciuta come “questione rosminiana” (il libro sarà riscoperto solo in occasione del Concilio Vaticano II, e grazie al vescovo Luigi Bettazzi).
Suddiviso in cinque capitoli (ognuno dei quali corrisponde a una piaga della Chiesa, paragonata a una piaga di Cristo), tutti con la medesima struttura (a un ottimistico quadro della Chiesa antica seguono una novità che determina la piaga e i possibili rimedi), il libro mette all’indice, tra l’altro, la divisione del clero dal popolo nel culto pubblico, in passato mezzo di formazione e catechesi, e ai tempi di Rosmini ormai distaccato dalle persone comuni, complici la povera istruzione del popolo e la scomparsa della lingua latina.
Lo studioso trentino, inoltre, segnala un’educazione insufficiente del clero (si tratta di una critica severa ai catechismi, oltre che alla scolastica) e la disunione tra i vescovi, dovute all’ambizione, alle occupazioni politiche che distolgono dal ministero sacerdotale, alla preoccupazione di proteggere i beni ecclesiastici e al servilismo verso il governo. La quarta e la quinta piaga, invece, sono rappresentate rispettivamente dal potere laicale che si occupa della nomina dei vescovi e la servitù dei beni ecclesiastici, per risolvere la quale l’autore indica l’opportunità di rinunciare alle richieste economiche imposte, affidandosi invece alle offerte libere e ai possedimenti statali del papa.
Dopo la pubblicazione dell’opera, Antonio Rosmini segue Papa Pio IX, che dopo la proclamazione della Repubblica Romana era riparato a Gaeta. Tuttavia, la sua posizione improntata al cattolicesimo liberale lo induce a spostarsi a Stresa, sul Lago Maggiore. Richiamato a Roma nel 1849 (anno di composizione dell’opera “Il comunismo e il socialismo”) per prendere parte a una commissione (istituita dal Pontefice) il cui compito è quello di preparare il testo per la definizione dell’Immacolata Concezione come Dogma, torna in Piemonte, dove perfeziona il proprio sistema filosofico nelle opere “Logica”, composta nel 1853, e “Psicologia”, nel 1855.
Dopo essere stato in missione diplomatica presso la Santa Sede, svolta per conto di Carlo Alberto, Re di Sardegna, Rosmini muore il 1° luglio 1855 a Stresa, assistito da Manzoni sul letto di morte (lo scrittore vi trarrà “Adorare, tacere, gioire”, suo testamento spirituale). Viene sepolto nella stessa città, nel Santuario del Santissimo Crocifisso (dove verrà seppellito, per altro, anche Clemente Rebora).
Antonio Rosmini viene beatificato dalla Chiesa cattolica il 18 novembre del 2007.
Interessato alla filosofia kantiana (pur non condividendone l’innatismo), Antonio Rosmini ritiene che il problema filosofico consista nell’assicurare oggettività alla conoscenza: la soluzione si trova in una ricerca ontologica che sia in grado di illuminare l’intelligenza. È questa l’idea dell’essere possibile, che si fa da indeterminato a determinato nel momento in cui viene applicato dall’intelligenza ai dati messi a disposizione dai sensi. L’idea dell’essere, per Rosmini, rappresenta il solo contenuto della mente non proveniente dai sensi, e quindi inn