Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/?p=5966
Traffici di rifiuti tossici, sversamenti abusivi, inquinamento di falde acquifere, disastro ambientale. E tanto per gradire, anche gare ippiche clandestine, scommesse illegali, maltrattamenti e torture d’ogni sorta a decine e decine di puledri che venivano anche dopati, riempiti di botte e poi ammazzati, quindi macellati. Un autentico horror movie, quello che sta andando in scena al tribunale di Napoli, dove sono sotto processo ben 70 imputati per una sfilza di reati da far accapponare la pelle. Il tutto per un grosso giro d’affari, derivante sia dai lucrosi sversamenti di materiali “cari” da smaltire, sia per il vorticare da palate di euro per le gare e le scommesse sulla pelle dei cavalli. Tra gli imputati spicca un nome, quello di Antonio Agizza, che fa capo ad una delle più “note” dinasty partenopee impegnate da quasi trent’anni nel fortunato business della monnezza e protagonista in un’altra, identica storia, l’inchiesta “Chernobyl” che, iniziata esattamente dieci anni fa, sta morendo di prescrizione annunciata a Salerno.
Due storie “ai confini della realtà”, tutte da raccontare. Storie che vivono in un contesto, come quello campano, in coma profondo da anni, con un territorio distrutto dalle “mafie istituzionali”, percentuali di malattie cancerogene di gran lunga superiori alle medie nazionali (soprattutto nel cosiddetto triangolo della morte dell’hinterland partenopeo e nella “Terra dei Fuochi), una bonifica fatta solo di parole, mentre i cittadini continuano a morire.
Quasi trent’anni fa l’Acna di Cengio cominciava a sversare i suoi fanghi super tossici nella periferia (epicentro il quartiere di Pianura, nella zona ovest cittadina) e nell’hinterland di Napoli: la Voce scrisse la prima inchiesta nel 1989 (e già facevano capolino personaggi che solo pochi anni fa salgono alla ribalta delle cronache, come l’avvocato-faccendiere Cipriano Chianese e il monnezzaro-pentito Gaetano Vassallo).
E’ di 20 anni fa esatti la prima verbalizzazione, nella casera dei carabinieri a Castello di Cisterna, di Carmine Schiavone, che già allora fornì una marea di dettagli su modalità e luoghi di sversamento, cifre del business, tariffe, nomi dei politici di riferimento: quelle verbalizzazioni sono rimaste ad ammuffire dei cassetti degli inquirenti, fino a che Schiavone non ne ha parlato, due anni fa, in interviste tv e l’anno scorso è “ morto” cadendo da un albero nella località “protetta” dove viveva.
Ancora: a pochi giorni dalla morte dello zio di Sandokan, nella primavera 2015, quindi poco più di un anno fa, ha perso la vita in un “incidente” stradale, dalla dinamica mai chiarita, il magistrato che lavorava ad una maxi inchiesta sui rifiuti e proprio sulla scorta delle ultime verbalizzazioni del pentito: ma il ‘giallo’ del pm Carmine Bisceglia è stato subito archiviato, una tragica “fatalità”. Insomma, misteri & affari targati monnezza, in mezzo ai flop della “giustizia”, non finiscono mai. Anzi.
Ma veniamo ai due casi. La prima inchiesta parte per impulso delle Fiamme gialle di Afragola, popolosissimo comune della provincia di Napoli. Man mano dalle indagini emerge una fittissima rete di sigle, imprese, personaggi coinvolti nello smaltimento illegale d’ogni sorta di rifiuti: da quelli condominiali a quelli industriali, “sistemati” in modo del tutto illegale un po’ ovunque: fogne comunali, fiumi, campagne, ovunque, inquinando in modo capillare ampie fasce del territorio vesuviano. Un’attività a ciclo “completo”: dalle “public relations” per trovare clienti, agli accordi, al prelievo, al trasporto, fino alla vastissima gamma delle modalità di sversamento. In prima fila due sodalizi: il folto gruppo dei Barchetti (con ben sette suoi esponenti – i magnifici 7 della monnezza – attualmente sotto processo: 2 Gaetano, 2 Michele, Cesare Agostino, Luigi e Pasquale), la più ristretta famiglia Veneroso (Antonio, Francesco e Francesco, tutti soprannominati ‘0 Ricciolone); il già citato Antonio Agizza, riconducibile alla vasta dinasty capeggiata, negli anni ’80, da Vincenzo Agizza, socio e cognato di Domenico Romano, di cui la Voce ha scritto pochi giorni fa per la stretta amicizia con l’ex sindaco di Santa Maria Capua vetere Biagio Di Muro, protagonista nella fresca inchiesta che ha colpito come un ciclone il Pd campano e il suo segretario regionale Stefano Graziano.
CIFRE E DETTAGLI DEL MASSACRO
Proseguendo nelle indagini, i finanzieri di Afragola scoprono un altro giro d’affari, diramato in tutta la Campania, gli stessi protagonisti in campo, stavolta a base di scommesse, doping & cavalli. Ecco cosa viene scritto nel capo di imputazione: “un’associazione criminale dedita all’organizzazione di corse clandestine di cavalli, cui vengono somministrate sostanze dopanti che comportano sevizie o strazio per gli animali. Il sodalizio criminale ha costituito una sorta di circuito itinerante delle competizioni organizzate in pubbliche strade, noncurante dei pericoli cui vengono esposti sia gli animali che le persone presenti in tali manifestazioni eseguite senza le dovute precauzioni, durante le quali i cavalli subiscono vere e proprie ‘sevizie’ con la somministrazione, prima e durante la gara, di sostanze dopanti o con effetto dopante, dagli stessi proprietari o comunque da persone non qualificate, con il solo scopo di aumentare le prestazioni degli animali”.
Varie le tipologie di gare: dal confronto a due, con eliminatorie, ottavi e quarti di finale, semifinale e finalissima, a quelle ‘tipo trotto’, con calesse e driver, generalmente disputate di notte o all’alba nelle periferie dei centri abitati del devastato hinterland napoletano. E varie le tipologie di “sevizie” ai quali i poveri cavalli vengono regolarmente sottoposti: dalle terrificanti condizioni in cui vengono costretti a ‘sopravvivere’ (box 2 metri per 1 senza luce, garage, stalle abusive, “legati al morso con 2 catene e moschettoni da 30 centimetri, immobili per intere giornate”), alle bastonate quotidiane, alle mazze ferrate, fino ai martiri finali “spesso a colpi di martello”, nel migliore dei casi con un revolver. Nel bel mezzo, una gamma di torture per somministrare le droghe: in prevalenza “xenobiotici”; una sostanza che va per la maggiore è la “Benzoilecgonina”, un cosiddetto “metabolita della cocaina” che serve a migliorare in modo significativo le performance.
Ecco come si esprime, in perfetto stile britannico, uno dei protagonisti nell’organizzazione delle corse, intercettato dalle fiamme gialle: “quel bastardo di cavallo mi ha fatto sporcare di sangue perchè gli mettevo l’ago in vena e lui si ritraeva. Stavo prendendo l’ago per infilarglielo in gola”. Spesso ai puledri venivano spezzate le mandibole per somministrare meglio le pozioni miracolose.
Ma gli “organizzatori” non si fanno mancare niente e hanno a libro paga anche un veterinaria napoletana, studio a Fuorigrotta, la quale “suggeriva le sostanze da somministrare per aumentare le prestazioni nelle competizioni alle quali gareggiavano”.
Così denuncia la LAV nell’ultimo rapporto sulle “Zoomafie”. “Nel 2014 i numeri relativi alle pratiche legate all’ippica, pur facendo registrare una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente, continuano ad essere allarmanti. Ben 110 cavalli impegnati in gare ufficiali sono risultati positivi a sostanze vietate, 4 corse clandestine sono state bloccate, 22 persone denunciate e 10 cavalli sequestrati”. Figurarsi il numero dei cavalli dopati in gare ‘non ufficiali’! Prosegue il rapporto: “Negli ultimi 17 anni, dal 1998 al 2014, sono state denunciate, nel complesso, 3.344 persone, 1.238 cavalli sono stati sequestrati e 111 corse e gare clandestine sono state bloccate”.
Campania e Sicilia in testa alla vergognosa hit. Descrive un giornalista palermitano: “In ogni provincia siciliana c’è un giro di almeno 1000 cavalli clandestini, ad ogni gara partecipano 250-300 persone, tutti scommettitori, le puntate variano da 30 a 100 euro in media, il fatturato del settore è di circa 1 miliardo. Cifre da capogiro. Le piazze principali sono quelle di Messina, Trapani, Siracusa e Palermo. Davanti alla Cittadella universitaria proprio di Palermo venne ritrovata la carcassa di un cavallo. La gran parte dei cavalli – prosegue – arriva dai paesi dell’ est o dalla Spagna, ma anche dagli ‘scarti’ degli ippodromi italiani. L’età media dei cavalli che vengono da fuori è di 4-5 anni, vengono acquistati a peso, da un minimo di 900-1000 euro ad un massimo di 4 mila. Vengono messi sotto torchio per un paio d’anni, se vincono bene, se muoiono non importa, se si azzoppano o non vincono li ammazzano e li rivendono ai macelli, guadagnandoci la spesa di acquisto”.
Oltre al ministero dell’Ambiente e al Comune di Napoli, diverse associazioni animaliste e ambientaliste si sono costituite parti civili, tra cui Wwf, Lav, la genovese No Macelli, Horse Angels patrocinate dagli avvocati Raffaella Cristofaro e Andrea Scardamaglio. La prossima udienza si svolgerà il 23 luglio presso la prima sezione penale del Tribunale partenopeo: si continua con la verbalizzazione di numerosi testi, pm Fabiana Magnetta, presidente della sezione Marco Occhiofino (tra i pm della Mani pulite partenopea inizio anni ’90). “Quando c’è un processo con tanti imputati c’è il rischio di tempi lunghi, intoppi, rinvii, spesso per le tante notifiche sbagliate o non andate a buon fine – fanno notare non pochi addetti ai lavori – anche per il processo Chernobyl è stato così. Tanti imputati e ora il rischio, ormai quasi certo, di prescrizione, con tutti i processati per reati gravissimi liberi come fringuelli e soprattutto liberi di delinquere di nuovo”. Come sta succedendo.
Emblematico il caso di Antonio Agizza. Tra gli imputati più in vista di “Chernobyl”, è ora ri-imputato, per gli stessi reati (con l’aggiunta equina), nel processo che riprende a luglio.
UNA CHERNOBYL IN VIA DI PRESCRIZIONE
Finiamo, allora, con alcuni flash dal processo cominciato a Santa Maria Capua Vetere a dicembre 2011, poi passato per “competenza territoriale” a Salerno, un’udienza preliminare dopo due anni esatti (dicembre 2013), rinvio a giudizio a febbraio 2014, quindi una interminabile serie di rinvii per cause “tecniche”: da aprile 2014 si passa a dicembre 2014, quindi da aprile 2015 si salta a giugno dello stesso anno. E ad oggi. Con una prescrizione-mannaia più che mai dietro l’angolo. “Il processo sta morendo”, commentano alcuni siti nel Vallo di Diano, “tutti i partiti se ne fregano, a nessuno conviene scoperchiare quel pentolone”. Solo i 5 Stelle stanno facendo battaglia perchè almeno a livello parlamentare quello scandalo non vada in naftalina ma almeno, per ora, possa rientrare nel mortale dossier “Terra dei Fuochi”. Una strage, si sa, tira l’altra, e fu proprio l’inchiesta Chernobyl (che prendeva le mosse da Ceppaloni, il paese di Clemente Mastella, ora candidato per Forza Italia a Benevento) a documentare, in modo scientifico, l’altrettanto scientifico avvelenamento delle terre di tutta la Campania, e non solo.
Il periodo finito sotto la lente degli investigatori era il biennio 2006-2007 (per la precisione da gennaio 2006 a giugno 2007), riuscendo a quantificare in quasi 1 milione (980 mila per la precisione) le tonnellate di rifiuti (anche tossici e speciali) sversate nei fiumi o interrate nel suolo, un giro d’affari da ben 50 milioni di euro e 38 imputati, tra singoli “affaristi” della monnezza, trasportatori, imprese di piccole, medie e anche grosse dimensioni, come l’avellinese De Vizia Transfer, la “Naturambiente” del gruppo Gallo (impegnato anche nel settore energetico) o un “esperto” del ramo come Antonio Agizza. Del quale così scriveva, nel 2007, Leandro Del Gaudio per il Mattino: “Incensurato e lontano parente di imprenditori coinvolti negli anni scorsi in indagini sul clan Nuvoletta di Marano. Assieme ai suoi stretti collaboratori – si legge nel decreto di fermo – procedeva all’illecito smaltimento di rifiuti liquidi provenienti dal porto di Napoli, con una capillare falsificazione dei ‘fir’, i fogli di identificazione dei rifiuti, i documenti che attestano l’avvenuto, regolare smaltimento. E non ci sono solo gli scarichi tossici di navi mercantili e militari. Dal porto e attraverso il porto passavano altre forme di immondizia. Quelle degli ospedali e delle cliniche private napoletane, delle fosse settiche di civili abitazioni, degli esercizi commerciali e dei lidi balneari. Dal porto dunque, dove Antonio Agizza aveva un ‘ragazzo suo’ – come si legge nelle intercettazioni del Noe napoletano – un ragazzo che si chiamava Alfonso, uomo fidatissimo di via Molo Carmine, che gli rivolge parole deferenti: ‘Donn’Antonio, il camion è uscito, tutto bene”. E Agizza gli risponde: ‘sì, ma adesso fai lavorare i miei autisti, non ti preoccupare, falli fare e non mettere l’orario, me lo vedo io’. Pochi dubbi – commenta Del Gaudio – da parte del pm sulla destinazione finale del carico: ‘i rifiuti gestiti dal gruppo Agizza vengono smaltiti illegalmente nella rete fognaria cittadina, immessi direttamente in tombini”.
“Un sistema diabolico, scellerato, criminale”, secondo gli inquirenti, quello messo in piedi per assicurare profitti a tutti: evidentemente ai membri del “sodalizio”, e anche ai contadini vittime e complici, pagati 600 euro a sversamento, per chiudere un occhio (anzi tutti e due) sui carichi di monnezza ospitati e interrati nelle proprie campagne.
Ad un convegno organizzato dall’associazione antimafia Antonino Caponnetto a Caserta l’8 maggio su riciclaggi e ecomafie nella Terra dei Fuochi, Tina Zaccaria, madre che ha perso due anni fa la sua bimba di 13 anni, Dalia, morta di linfoma, ha denunciato: “ci hanno nascosto che vivevamo in una terra avvelenata. Mio figlio è morto, tanti nostri figli sono morti, ma niente è cambiato. Lo Stato doveva controllare e non ha controllato, deve bonificare e non fa niente. Tutto è come prima. La gente sembra rassegnata, è stanca di combattere e non vedere una risposta. Lo Stato prima ci fa morire, poi non ci aiuta e non muove un dito per cambiare le cose”.