Scritto da: Luisa Gris
Fonte: http://luniversale.you-ng.it/2015/02/22/leni-e-il-petrolio-russo/
Il 25 giugno 1962 venne presentato alla Commissione per la Sicurezza del Senato degli Stati Uniti un rapporto dal titolo “problemi sollevati dall’offensiva petrolifera sovietica”, realizzato su richiesta di Kenneth Keating, senatore repubblicano di New York. Parte del rapporto era dedicato alla possibilità che il petrolio sovietico giungesse clandestinamente in Europa grazie alla complicità dell’ Eni e dell’Egitto (che in quel rapporto veniva definita “monopolio petrolifero italiano a forte tendenza filo-sovietica”); si avanzava l’ipotesi, ritenuta assai allarmante per la sicurezza del mondo libero, che parte del petrolio sovietico acquistato dall’Egitto, fosse poi trasferito clandestinamente in Italia, per essere raffinato negli impianti siciliani dell’Eni ed essere poi distribuito nella penisola e in altri paesi dell’Europa occidentale.
L’ipotesi di questa triangolazione clandestina era sorta dallo studio delle quantità di greggio prodotte, esportate e importate dell’Egitto nel corso del 1961: secondo i dati raccolti da Hoskins e poi inseriti nel rapporto per il Senato, in quell’anno dal sottosuolo egiziano era stata estratta una quantità di greggio sufficiente al fabbisogno interno, mentre il Paese aveva importato 1.300.000 tonnellate dall’Urss nel corso dello stesso anno; l’Italia aveva importato dall’Egitto 1.500.000 tonnellate di greggio. Da questi rapporti si evinceva che la quantità di petrolio estratto dai pozzi non poteva essere sufficiente sia per la domanda interna che per l’esportazione, per la quale dunque si era fatto probabilmente ricorso al petrolio proveniente dal Mar Nero.
L’ente italiano volle replicare che il fabbisogno petrolifero del Paese arabo era stato nel 1961 di cinque milioni di tonnellate ed era stato coperto solo in parte dai giacimenti egiziani: 700.000 tonnellate infatti erano state fornite dalla produzione della Cope (il 50 per cento apparteneva all’Eni) e 1.200.000 dalla Anglo-Egyptian Oil Company; ma poi le autorità italiane avevano dovuto acquistare 1.300.000 tonnellate di greggio saudita dalla Calex e un 1.800.000 dall’Unione Sovietica.
La Cope a sua volta non aveva estratto solamente le 700.000 tonnellate destinate al mercato egiziano: dei 2.300.000 tonnellate estratte complessivamente dalla Cope nel 1961, infatti, oltre alla quota destinata al fabbisogno interno del Paese, una parte era stata venduta alla Calex (500.000 tonnellate) e le rimanenti 1.110.000 tonnellate erano state importate dall’Eni in Italia. In base a queste cifre non vi sarebbe stato nessun trasferimento occulto di petrolio sovietico da parte dell’Italia attraverso l’Egitto, dal momento che tutto il greggio giunto in Sicilia sarebbe stato estratto dalla Cope.
In un comunicato stampa diffuso attraverso l’Agenzia Italia, la dirigenza Eni aggiungeva che: “Le insinuazioni acquistano un significato particolare, perché sono contenute in un rapporto ufficiale del Senato statunitense e sono indirizzate contro un’impresa che appartiene allo Stato italiano. La sola fonte citata è un articolo del Christian Science Monitor, pubblicato il 12 dicembre 1961, che a sua volta riprende un articolo del Sole 24 Ore del 22 novembre. Un sospetto lanciato con tanta leggerezza contro l’Eni si rivela per ciò che è realmente: il più recente tentativo da parte dei grandi interessi petroliferi mondiali di gettare discredito su una compagnia la cui unica colpa è stata di aver rotto la congiura del silenzio verso le pratiche monopolitistiche, grazie alle quali essi hanno sfruttato per trent’anni i consumatori di tutto il mondo”.
Il rapporto voluto nel 1962 dal Senato nordamericano sui “Problemi sollevati dall’offensiva petrolifera sovietica” rifletteva il clima di apprensione e di allarme con il quale da qualche anno i politici e i dirigenti delle compagnie occidentali guardavano alla situazione petrolifera mondiale: la metà degli anni Cinquanta aveva segnato l’ingresso dell’Unione Sovietica fra i Paesi esportatori di petrolio, dal momento che la scoperta di nuovi giacimenti nella regione del Volga e negli Urali consentì al Paese di raddoppiare in cinque anni la quantità di greggio estratto dal sottosuolo. I dirigenti di Mosca decisero di adottare una politica aggressiva e di immettere nel mercato internazionale crescenti quantità di petrolio a un prezzo inferiore del 20 o 30 per cento rispetto a quello del greggio estratto in Medio Oriente.
Mattei, spinto dalla costante necessità di petrolio a buon mercato per garantire il pieno utilizzo degli impianti di raffinazione, nel 1960 firmò un accordo con l’Unione Sovietica che prevedeva l’importazione in Italia di 12 milioni di tonnellate di petrolio sovietico in quattro anni, per un valore complessivo di circa 12 miliardi di lire, che l’Eni avrebbe pagato cedendo a Mosca 240.000 tonnellate di tubi di acciaio, 50 milioni di tonnellate di gomma sintetica, oltre ad alcuni impianti di pompaggio. Con questo accordo l’Italia veniva ad occupare il primo posto, fra i Paesi europei, nelle importazioni di greggio sovietico con tre milioni di tonnellate annue, contro le 2,8 della Germania Federale, le 2,2 della Finlandia e 1.400.000 tonnellate della Svezia. In termini di dipendenza dal petrolio sovietico, comunque, l’Italia era in buona compagnia all’interno della Nato nel 1963, mentre il greggio di Mosca copriva il 25 percento del fabbisogno italiano; garantiva anche l’11 percento di quello della Germania Federale, il 40 percento della Grecia e ben il 93 percento del fabbisogno energetico dell’Islanda.