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Unep, le risorse ci sono già: spostare i 523 miliardi di dollari di sussidi alle fonti fossili verso la green economy
Maurizio Gubbiotti, responsabile dipartimento internazionale Legambiente per greenreport.it
Tutto ancora molto aperto in questa ultima giornata di negoziati a Doha, ma qualche avanzamento si profila e soprattutto non dovrebbe essere troppo lontano un accordo generale. Ne capiremo poi la portata, capace di garantire il proseguo del percorso di Kyoto 2, superando anche molte criticità sul fronte economico.
Il presidente della COP18, sua eccellenza Abdullah bin Hamad Al-Attiyah sembra riuscito davvero a convincere il rappresentante della Polonia, ad ammorbidire la contrarietà al Kyoto 2 e convincere circa la convenienza per tutti che si lasci Doha con qualche elemento di successo. D’altra parte, qualcuno ha notato la nuova linea aerea della Qatar Airways Doha-Varsavia, inaugurata proprio il 5 dicembre.
Si delinea una sorta di continuità legale tra il primo ed il secondo periodo di Kyoto, con un continuo cantiere in progresso su impegni chiari e delineati e sull’allargamento dei Paesi disponibili ad aderire a Kyoto 2, e cioè Unione Europea, Svizzera, Norvegia e l’Australia; i quali però, tutti insieme – come più volte abbiamo ricordato – assommano non più del 15% delle emissioni totali. Positivo quindi il riconoscimento anche degli Stati Uniti della piattaforma di Durban come un’opportunità per negoziare un accordo per il 2020, applicabile a tutti, inserendo pure termini piuttosto inusuali per loro fino ad oggi, come equità.
Poi si parla di soldi, ed è su questo che si preannuncia un tirar tardi per questa sera, seppur anche qui pare l’accordo ci sia. La disponibilità a metterne c’è in primis dalla stessa Europa. Il percorso del Green Fund, deciso alla COP di Copenhagen e che avrebbe dovuto avere operatività immediata è stato molto accidentato. Era previsti dal 2010 al 2013 un fast track di 30 miliardi di dollari versati dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo per politiche di adattamento, per poi dare vita ad un Fondo di lungo termine da 100 miliardi di dollari/anno tra nuovi ed aggiuntivi al 2020. Invece si è arrivati qui con solo 3 miliardi di dollari, finalizzati alla struttura burocratica al Fondo, e quindi sembrava complicato trovare la quadra.
Intanto la Gran Bretagna ha però confermato il suo impegno per 2,2 miliardi di euro in due anni, e Svezia e Germania hanno annunciato di voler rilanciare. Si stanno delineando delle soluzioni sul mercato del carbonio che tengano conto di esigenze come ad esempio quelle della Polonia, che ha già fatto un accordo con il Giappone per la vendita delle eccedenze future. E dovrebbe dichiararsi soddisfatta anche la Cina, che aveva chiesto fin dall’inizio di questa Conferenza un impegno aggiuntivo da qui al 2020, e cioè il raggiungimento dell’obiettivo intermedio di 60 miliardi di dollari entro il 2015, di fronte alla garanzia di scadenzario, che alla fine del prossimo anno mostri quanto, come e quando i Paesi stiano pagheranno (e stiano già pagando).
Infine, in questi giorni più volte l’Unep ha ricordato che i fondi per la riconversione del sistema produttivo ci sarebbero e basterebbe spostare i sussidi ai combustibili fossili, 523 miliardi di dollari nel 2011, in direzione dello sviluppo sostenibile, della green economy, delle fonti rinnovabili. La Cina ad esempio, Paese che sta facendo la differenza nello sviluppo della green economy, nel suo 11° Piano quinquennale 2006-2011 ha investito 142 miliardi di dollari per migliorare l’efficienza energetica delle sue produzioni, dei quali l’83% derivanti da fonte privata.