USA: Bisturi contro la spesa sociale

Fonte: http://selvasorg.blogspot.it/

Terapie della penuria  nella fase post-egemonica
Tito Pulsinelli
Il 3 gennaio prossimo a Washington taglieranno il bilancio di ben 1500 miliardi di dollari. La patata bollente è arrivata all’ultimo passaggio: per legge, quale che sia il governo in carica, deve armarsi di bisturi e tagliare. In modo “lineare”, scaglionato, a zig zag, alla Tremonti, alla moda europea? Non importa. Il circo mediatico ha coniato l’apposita metafora (abisso fiscale), sta lavorando sodo -alla Stakanov- per introdurla nel chiacchiericcio generale, poi ci vorrà azione. Beninteso, mette al bando ogni riferimento alla dimensione draconiana del salasso, soprattutto tace su come usciranno decimate varie burocrazie e l’istituzionalità della solidarietà sociale. Lo scricchiolio ricorda i suoni sinistri dei trhrilling
all’aprirsi dell’uscio da cui entra il killer: sarà seriale? La “narrativa” del regime è molto attenta ad eliminare ogni cosa che possa evidenziare il dissolvimento del cemento sociale, che sedimenta e coesiona forze sempre più centrifughe e conflittive. Vietato evocare il pathos lugubre del 1929.

La battaglia campale tra le lobby, per mettere al riparo dei tagli i propri committenti, sarà più simile a una guerra per bande tra i sottoscrittori che si aggiudicarono -o persero- l’asta presidenziale  della vigilia delle elezioni . Il Partito di Wall Street (PWS) filtra che ci sarebbe un pre-accordo tra le sue due componenti, in cui i repubblicani accetterebbero una riduzione dei fondi per i militari (500 miliardi) e qualche aumento simbolico delle tasse, mentre gli obamiani danno l’ok per la riduzione dei programmi sociali. Entrambi, poi, si affrettano a tranquillizzare la rispettiva clientela elettorale, invitando alla calma perchè l’effetto dei tagli si sentirà solo nel 2014. Viva il parroco.

A tutto questo, fa da sfondo scenografico il crollo del mito della globalizzazione e la proliferazione di iniziative volte ad ottenere referendum per la secessione, particolarmente forti e insidiosi in Texas e Vermont. Non il vecchio separatismo “ideologico”, ma secessione come legittima difesa dal caos crescente generato dai gruppi di potere elitari che hanno perso la bussola. Da apostoli della crescita infinita a inquisitori pro-carestia, nel volger di qualche lustro. Si fa strada la diffusa percezione d’una politica estera che gira a vuoto,  che si guarda l’ombelico e non cava un ragno dal buco in Iraq. Ancora abbagliata dal narcisismo -fine a se stesso- della Guerra al Terrorismo, che si appresta ad un’altra fuga in avanti. Ammassare risorse e tutti i mezzi militari disponibili, schierarli nel mare della Cina, per stringere un cappio al collo alle esportazioni di manufatti cinesi e all’importazione di materie prime.

Ancora una volta primeggia la tentazione di rispondere con mezzi militari a problemi che militari non sono. Gli Stati Uniti -e la sua protesi “occidentale”- sono in piena fase post-egemonica. Pertanto è riduttivo, pressocchè illusorio, continuare a pensare in termini di “crisi economica”, risolvibile con ginnastiche finanziarie prelibate soltanto per le elites. E’ un processo che sta dissolvendo basi, legami e valori che sono stati la ragion d’essere di un’epoca storica e d’un modello che tracollò per superbia ed estremismo, proprio quando scomparve l’antagonista sovietico. Riuscirà l’oligarchia a scaricare sul popolo minuto metropolitano il costo dei suoi limiti? Riusciranno ad esportare nelle latitudini ex-coloniali il peso totale del proprio fallimento storico? Ai postumi l’ardua sentenza. Tra la defunta crescita infinita e la crescita con redistribuzione, in Sudamerica e negli altrove emergenti, si inclinano verso la seconda opzione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *