Scritto da: Filippo Fortunato Pilato
Fonte: http://terrasantalibera.wordpress.com/2012/11/16/3693/
Attacco israeliano a Gaza e forte reazione di Hamas: avvenimenti fuori controllo o calcolo bellico premeditato da Tel Aviv?
Le sirene degli allarmi antiaerei risuonano anche a Gerusalemme, dove 3 razzi di nuova generazione sono stati lanciati dalla resistenza palestinese di Gaza.
Parebbe che in questi anni la resistenza palestinese si sia dotata di nuove armi e nuovi razzi, con gittate più lunghe e più potenti. Anche Israele però, si sa, in questi anni non è rimasta con le mani in mano, accrescendo il suo potenziale bellico e perfezionando nuove strategie.
Chi infatti crede che i recenti avvenimenti possano avere spaventato o colto di sorpesa Israele si sbaglia di grosso. Lo Stato ebraico da sempre ha tratto vantaggi atteggiandosi a vittima, tanto più in una situazione del genere, dove la sproporzione tra le forze in campo e la loro libertà d’azione sono enormi: un potenziale bellico tra i più grandi al mondo quello israeliano, dove la popolazione gode di piena libertà di movimento, contro un potenziale bellico primitivo, quello di Gaza e palestinese in generale, dove la popolazione araba vive reclusa in enclavi senza possibilità di muoversi in libertà.
Tutto questo conflitto e scenario, da ben prima che il reggente del Qatar e monarchi del Golfo si offrissero di patrocinare i negoziati tra Hamas e Fatah, o che si recassero, come i 3 Re Magi, a portar doni a Gaza, è stato sempre nel pieno monitoraggio e controllo dell’intelligence di Tel Aviv (leggi Mossad), che ben conosce, oltre al proprio, il potenziale bellico di cui potrebbero disporre le milizie di Gaza.
La reazione di Hamas oltretutto è stata provocata e condizionata dalle continue aggressioni israeliane, culminate con l’assassinio mirato del comandante Al-Jabari.
Ciò che dovrebbe apparire chiaro è che in realtà Israele è proprio su questa reazione rabbiosa che contava.
È fuori ogni ombra di dubbio che Israele, a parte le immagini della popolazione spaventata di Tel Aviv, di Gerusalemme o delle colonie circostanti Gaza, non è affatto preoccupata dal danno che potrebbe fare Hamas con i suoi razzi, sapendo bene che non è con tali armi che Gaza potrebbe sperare di vincere o piegare la volontà sionista di dominio, nè spezzare l’accerchiamento in cui si trova.
E allora, quale potrebbe essere il progetto strategico israeliano e su quali basi poggerebbe?
Cominciamo col dire che oltre alla sua potenzialità bellica, la cui superiorità nei confronti palestinesi è numericamente e tecnologicamente accertata e indiscussa, ciò che rende forte lo stato ebraico è non tanto l’inferiorità d’armi dell’avversario in Gaza, quanto la sua incapacità e debolezza diplomatica, strategica, tattica, politica.
I dirigenti di Gaza hanno infatti collezionato e messo in fila una serie molto lunga di errori sul piano strategico, politico e tattico, a cominciare dall’aver accettato il patrocinio di Qatar e Arabia Saudita per la soluzione di questioni interne palestinesi, per continuare con l’aver rinnegato l’alleato storico siriano in un momento di difficoltà, per finire con l’aver spalancato le porte a quell’incrocio tra uno scorpione, un maiale ed una serpe velenosa che risponde al nome di Hamad bin Khalifa Al Thani, dittatore del Qatar (non dimentichiamo neppure che un suo dono era la vettura presa di mira dall’intelligenze militare israeliano sulla quale viaggia il comandante delle brigate al-Kassam, Al-Jabari).
Ed oggi Hamas, oltre ad andare sotto braccio con Al Thani, corteggia e si fa corteggiare da un’altra razza di animali velenosi: i Fratelli Musulmani, egiziani e di varie nazionalità.
Questi sono oggi i principali referenti di Hamas a Gaza, e con tali appoggi politici (perchè di appoggio militare proprio non se ne parla da parte di costoro) Hamas non può sperare di fare molta strada verso l’autonomia e indipendenza, o sperare in un loro intervento per liberarsi dall’occupante sionista.
Altri sono infatti i fini di Qatar, Arabia Saudita e Fratelli Musulmani, tutti legati a doppio filo con gli interessi americani nell’area, e nella cui agenda Gaza non figura, se non che per gli interessi economici nella gestione di gas e petrolio presenti nel mare prospicente. Per quel che riguarda i Fratelli Musulmani, c’è oltretutto da aggiungere il miraggio, cavalcato come un’onda nell’immaginario popolare jihadista, del perseguimento di un fantomatico “califfato” per il quale ogni compromesso e ogni mezzo sarebbe possibile, dall’alleanza e complicità con l’infedele occidentale, al martirio, all’assassinio di intere popolazioni arabe “sorelle” (e la Siria è lì come fulgido esempio con i suoi sgozzamenti e massacri ad opera di jihadisti, ben visti da Egitto e Fratelli musulmani, considerati eroici “ribelli” della primavera araba…).
Altre sono quindi le nazioni e le forze che Israele, sfruttando l’esca palestinese di Gaza, spererebbe di trascinare nel conflitto: ed esse sono evidentemente Hezbollah, Siria e Iran.
Tel Aviv, dopo avere insistentemente attaccato Gaza in questi ultimi mesi, sperava in una reazione scomposta da parte del braccio armato di Hamas, e questo obiettivo l’ha raggiunto, potendo ora agli occhi occidentali e soprattutto americani, sia atteggiarsi quale vittima, sia giustificare un maggior incremento nelle operazioni militari contro Gaza.
Ma ciò in cui spera fortemente l’amministrazione sionista è in un coinvolgimento e reazione, in difesa della Palestina sotto attacco, da parte di coloro che sono il vero obiettivo di Israele: Hezbollah, Siria, Iran. Soprattutto quest’ultimo, l’Iran, è l’oggetto primario delle attenzioni belliche israeliane, quello per cui sin’ora lo stato ebraico non è stato sufficientemente convincente nel riuscire ad ottenere l’approvazione per un intervento militare immediato USA al fianco delle truppe di Tsahal.
La stretta dello stato sionista sulla Palestina e Gaza sarà quindi, indipendentemente dai razzi di Hamas ed anzi proprio in loro ragione, sempre più invasiva e devastante, sapendo Tel Aviv di poter ottenere comunque, alla fine, gli sperati positivi risultati bellici (secondo la loro mentalità bacata e depravata), è cioè come minimo, dopo una vasta invasione di terra, l’annientamento radicale della resistenza a Gaza, a qualsiasi costo, anche di fare terra bruciata e sterminare l’intera popolazione araba (dai sionisti considerata semplicemente “bestiame”), magari addossando poi la colpa ad Hamas e ad ipotetiche armi chimiche di distruzione di massa, andate fuori controllo, che erano in mano ai miliziani di Gaza.
Ma se, come sperano gli strateghi di Tel Aviv, si dovesse registrare una reazione sensibile da parte delle forze militari di Hezbollah, Siria o Iran, allora Israele avrebbe raggiunto il vero scopo che è alla base degli accresciuti attacchi militari contro Gaza registrati recentemente, e che al momento hanno provocato oltre 20 morti in 2 giorni.
Se un evento del genere si dovesse registrare, Tel Aviv otterrebbe da USA, NATO, EU e paesi arabi corrotti del tipo Arabia Saudita, quello scudo e disponibilità militari e logistiche necessarie per poter entrare nella fase più avanzata del conflitto mediorientale.
Qualsiasi osservatore politico e analista geostrategico, onesto e attento, sa che se eventi del genere si dovessero verificare, vorrebbe dire che si è superata quella linea rossa di non-ritorno, con tutte le catastrofiche, incalcolabili e devastanti conseguenze derivanti a discapito non solo di quell’area, ma di tutto lo scenario geografico e geopolitico che oggi conosciamo.
E qualsiasi osservatore politico e analista geostrategico, onesto e attento, sa pure che in questo momento la via migliore da seguire è quella delle pressioni diplomatiche e internazionali, anche economiche (cosa alla quale sono particolarmente sensibili gli usurai che mantengono viva l’entità sionista), per frenare le smanie apocalittiche della setta sionista.
Russia e Cina, in testa, ma supportate anche da altre nazioni, quelle di ALBA, arabe e non, devono esercitare tutta la pressione possibile a livello internazionale ed in ogni sede, per sventare questo tranello sionista e impedire a nazioni come USA e alleati di farsi trascinare in un’avventura dalla quale potranno scaturire solo danni, lutti, svantaggi, per tutti, per essi stessi ed i popoli che rappresentano.
I popoli e le nazioni del mondo hanno bisogno di stabilità, prosperità, speranza per il futuro dei propri cittadini e dei propri figli, non di farsi trascinare in un incubo senza fine.
Israele è un cane pazzo, che va tenuto a bada e legato con una forte catena: almeno sinchè le circostanze non permetteranno di disinnescare questa entità, renderla inoffensiva, ed alfine liberare l’umanità dalla sua presenza infausta.
E questa è una speranza verso la quale anche ogni ebreo al mondo dovrebbe tendere, a meno che non voglia sentirsi rappresentato da un mostro sanguinario, che sta cercando di portare le lancette dell’orologio dell’umanità indietro nel tempo, sino alla barbarie.