Scritto da: Guido Beltramini direttore del Cisa Palladio
Fonte: Il Giornale di Vicenza
ARCHITETTURA. Decisione senza precedenti, una tappa nella storia del palladianesimo. Una storia iniziata nel ‘700: il modo di pensare le abitazioni incarnava anche politicamente lo spirito democratico del Grande Paese
El Greco, Ritratto di Palladio
Perché Palladio? Potevano scegliere Michelangelo, l’architetto della basilica di San Pietro a Roma. O Brunelleschi, il progettista della cupola di Santa Maria del Fiore. O Leon Battista Alberti, l’autore del De Re Aedificatoria. In altre parole: perché quando la nuova nazione degli Stati Uniti d’America deve costruire i luoghi simbolo della propria democrazia sceglie Palladio? In realtà, avevano cominciato a farlo anche prima della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776: la Redwood Library di Newport è del 1747. Prima libreria pubblica d’America, è ispirata alle facciate delle chiese veneziane di Palladio, un tempio laico del Sapere. Un amore secolare, comunque, confermato in questi giorni dalla sorprendente “dichiarazione di discendenza” approvata da Congresso.
Le risposte sono molte e intrecciate. Innanzitutto, rispetto a Michelangelo, Brunelleschi o Alberti, Palladio è soprattutto un architetto civile. Nessun architetto del Rinascimento ha progettato tante residenze: più di cinquanta palazzi e ville, fra quelli progettati e quelli rimasti sulla carta. Palladio ha dato una nuova dignità alla architettura domestica e – come ha scritto Howard Burns – i suoi edifici cambiavano il modo con cui i suoi clienti vivevano, e vedevano, se stessi, contribuendo alla nascita di una nuova figura di “gentiluomo”, così diversa dal magnate del mondo feudale. Gli abitanti degli edifici palladiani potevano leggere Virgilio e Orazio e insieme governare i propri affari, in un edificio razionale, funzionale ed elegante, ispirato alla magnificenza degli antichi Romani. Un modello perfetto per i gentleman farmer americani della Virginia e della Louisiana che producono tabacco e cotone in Via col Vento.
Ma esiste anche una ragione “politica” nel successo del modello palladiano in America. In una Europa dominata dalle grandi monarchie, a Venezia non è mai esistita una corte, la Serenissima era una Repubblica. Palladio non si guadagnava da vivere servendo un Signore assoluto, a cui costruire un enorme palazzo che domina la città, ma lavorava per più famiglie aristocratiche che condividevano il potere. Anzi, i cantori del mito di Venezia, già nel Cinquecento, riconoscevano nella sua forma di governo quella idealizzata da Platone, perché nella Serenissima convivono la monarchia nella figura del Doge, l’oligarchia nel Consiglio dei Dieci e la democrazia nel Senato.
È chiaro, allora, che quando i neonati Stati Uniti d’America devono scegliere la propria architettura, non sceglieranno l’architettura barocca della Roma dei Papi, o quella dei Re assoluti francesi, ma l’architettura della Repubblica di Venezia. Per questo la residenza del Presidente degli Stati Uniti è una villa veneta, e non un château o un palazzo romano. Non a caso il padre del palladianesimo USA non è un architetto professionista, ma un politico: Thomas Jefferson (1743-1826).
Autore della Dichiarazione d’Indipendenza, ambasciatore nella Parigi pre-rivoluzionaria, Segretario di Stato, Vicepresidente e infine terzo Presidente degli USA nel 1801 per due mandati, Jefferson è una figura centrale della storia americana. Egli vedeva in Palladio un modello civile prima ancora che artistico, una architettura razionale, sobria, fatta per migliorare la vita degli uomini. La sua villa di campagna, che chiamò Monticello ispirandosi a come Palladio definisce la collina su cui sorge la Rotonda, è una icona della architettura americana impressa sulla moneta da cinque cents e sulla banconota da due dollari. Ma il suo edificio più innovativo e sinceramente “palladiano” nello spirito è il campus dell’University of Virginia, fondato nel 1819.
Jefferson scardina il modello allora dominante degli edifici universitari di Oxford e Cambridge, costruiti come un grande palazzo, a favore di un insieme di padiglioni organizzati intorno ad un vasto spazio aperto, come in una villa palladiana. Nei padiglioni trovano posto le aule (a pianterreno) e le stanze di abitazione dei professori (al primo piano). Nelle “barchesse” che collegano i padiglioni sono alloggiati (ancora oggi) gli studenti. Il complesso è dominato da un grande edificio centrale, ispirato al Pantheon, che è la biblioteca comune. Con Jefferson nasce così il “campus” universitario che avrà una enorme fortuna in America.
Chiudo con una notazione leggera e amara insieme, scherzando sulla rassomiglianza che – come fra i cani e i propri padroni – così gli studiosi sembrano sviluppare nei confronti dei propri amati soggetti di studio. È conclamata la mia con Palladio, ma io trovo che Thomas Jefferson assomigli moltissimo ad uno studioso che lo ha molto amato, studiato, e reso familiare a generazioni di studenti americani: Mario Valmarana. Per quasi trent’anni docente all’University of Virginia, Valmarana ha costruito un ponte fra le due sponde dell’Atlantico nel nome di Palladio e Jefferson, curando mostre e convegni, scrivendo, organizzando viaggi di studio e soggiorni per studenti nel Veneto. Fondatore del Center for Palladian Studies in America ha contribuito in modo decisivo a sviluppare quella conoscenza profonda del Palladianesimo americano che traspare dalla stessa Risoluzione del Congresso. Morto il 13 ottobre scorso, non ha potuto vederla approvata, anche se il suo magistero ha contribuito a renderla possibile e credo che, idealmente, debba essergli dedicata.