Fonte: http://it.peacereporter.net
Il gas da una parte, l’acqua dall’altra. Uzbekistan e Tagikistan si fronteggiano e si provocano sulla questione energetica e dell’approvvigionamento idrico.
Dushambe sta inseguendo da tempo – finora con buoni risultati – una certa autonomia idro-energetica. I progressi tagiki creano, però, più di un malumore nel vicino Uzbekistan: il 28 novembre, il presidente tagiko Imomali Rahmon e il ministro iraniano dell’Energia Majid Namjou hanno presenziato alla cerimonia di inizi lavori per la costruzione della centrale idroelettrica Sangtuda 2, finanziata, in parte, da Teheran. Insieme, simbolicamente, hanno fatto detonare l’esplosivo che ha temporaneamente interrotto la corsa del fiume Vakhsh. La nuova centrale arricchisce il programma idroelettrico che ha visto la sua nascita con la centrale Sangtuda 1, già operativa dal luglio del 2009. Il Tagikistan vuole sfruttare al meglio le immense riserve d’acqua di cui dispone – anche grazie ai maestosi ghiacciai che per tutti i mesi invernali, di fatto, isolano il paese dal resto del mondo. L’Uzbekistan, a valle del fiume Vakhsh, vede minacciato il suo fabbisogno idrico dipendendo esso in gran parte dalle acque tagike tanto per le coltivazioni di cotone, quanto, soprattutto, per le esigenze alimentari.
Ma il problema non si ferma al progetto Santguda: il governo di Tashkent teme, ancor di più, la diga di Rogun – in fase di costruzione – che, se realizzata, con i suoi 335 metri di altezza sarebbe la più grande del pianeta. La diga di Rogun è un vecchio sogno che nasce quando il Tagikistan era ancora una repubblica sovietica; il crollo dell’Urss diede la spinta necessaria alla neo indipendente repubblica per aspirare a un’autosufficienza energetica. La costruzione cominciò negli anni immediatamente successivi alla dichiarazione d’indipendenza, ma una grande inondazione nel 1997 distrusse totalmente la struttura parziale di sessanta metri. Dushambe, però, non ha mai abbandonato l’idea di Rogun e i tempi sembrano essere adesso maturi. Per il presidente uzbeko, Islam Karimov, la costruzione della diga – oltre che “una grande sciocchezza” – sarebbe una catastrofe, non solo ambientale, per i paesi della regione.
Le forniture di gas del Tagikistan dipendono per il 95 per cento dall’azienda di stato uzbeka che, due giorni dopo la cerimonia di Sangtuda, ha inviato a Dushambe la richiesta di pagamento immediato di un debito pari a 1,8 miliardi di dollari, pena l’interruzione immediata delle forniture. Ma se questo potrebbe rientrare nella normalità e non essere considerato un atto di ritorsione, il Tagikistan punta, invece, il dito contro il blocco ferroviario imposto da Tashkent che avrebbe causato, nell’anno in corso, un calo degli scambi commerciali pari al 65 per cento rispetto al 2009. Inoltre, l’Uzbekistan tarda a riaprire il confine a ridosso della valle di Zarafshan (unico valico praticabile nei mesi invernali) con il conseguente isolamento del Tagikistan.
La scontro in atto – anticamera di una guerra per l’acqua – sta mettendo in serio pericolo le relazioni tra i due paesi e la debolissima economia del Tagikistan