Scritto da: Antonella Napoli
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/oltre-al-petrolio-i-due-sudan-si-litigano-la-cina/34653
Khartoum continua a bombardare il Sud, incurante delle minacce internazionali di sanzioni. Il presidente sudsudanese Kiir vola a Pechino per chiedere sostegno nel conflitto e supporto tecnico per un nuovo oleodotto.
La diplomazia internazionale minaccia nuove sanzioni contro Khartoum e Juba, ultimo disperato tentativo di frenare l’escalation di violenze tra Sudan e Sud Sudan. Nessuna azione messa in campo finora ha sortito gli effetti che si auguravano i paesi impegnati nel processo negoziale per l’attuazione del Sudan Peace Security and Accountability Act.
Sia il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon sia il Consiglio di sicurezza del Palazzo di Vetro hanno condannano l’occupazione della città di Heglig da parte delle forze armate sudsudanesi, i continui bombardamenti aerei e le incursioni messe in atto dall’esercito del Sudan; le Nazioni Unite hanno chiesto l’immediato cessate il fuoco.
Anche l’Unione europea, attraverso l’Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton, ha deplorato l’uso della forza da entrambe le parti. All’unanimità, il Consiglio esteri dell’Ue ha adottato una dichiarazione che invita “a cessare le ostilità, a fermare immediatamente gli attacchi sui rispettivi territori, a evitare ogni ulteriore azione provocatoria e ad attivare una verifica congiunta delle frontiere e un meccanismo di monitoraggio”.
La Ashton non si è però sbilanciata a fare previsioni sulle possibili sanzioni. Non ha invece esitato a parlarne apertamente il ministro francese alla Cooperazione Henri de Raincourt che non le ha escluse “nel caso che il conflitto continui”.
Incurante dell’attivismo europeo e internazionale, l’esercito del presidente sudanese Omar Hassan al Bashir ha risposto con nuovi bombardamenti aerei sulle aree di confine del Sud Sudan, contese per la presenza di considerevoli riserve di idrocarburi. In particolare sono state colpite le località di Panakwach e di Lalop, così come il valico di frontiera di Teshwin, una striscia di territorio del sud dove sono stati registrati i combattimenti più violenti.
Gli ultimi raid hanno fatto seguito a quelli di metà aprile su Bentiu, capitale dello Stato di al-Wahda 25 chilometri oltre la linea del fronte: i bombardamenti hanno causato vittime e molti feriti sia tra i soldati impegnati negli scontri sia tra la popolazione civile.
Intanto, il presidente del Sud Sudan Salva Kiir, che ha accusato apertamente il Sudan di aver dichiarato guerra al suo paese, è stato ospite del governo cinese per la sua prima visita ufficiale a Pechino. La Cina, stretto alleato di Khartoum e importatore di gran parte del greggio estratto nel paese (oltre il 60%), è da tempo all’opera per tentare di sedare il conflitto che sta prendendo la piega di una vera e propria guerra. Pechino ha anche inviato un proprio rappresentante per tentare di mettere fine alle ostilità.
L’incontro con il presidente Hu Jintao ha affrontato il tema principale degli scontri tra i due Stati, da poco separati con la proclamazione di indipendenza del sud nel luglio 2011 in seguito al referendum dello scorso gennaio. Juba lamenta l’inerzia da parte della comunità internazionale nei confronti di Khartoum che continua a sferrare attacchi lungo il confine, nonostante il ritiro delle truppe sud sudanesi da Heglig.
“Ci hanno chiesto di richiamare i nostri soldati e lo abbiamo fatto. A loro è stato chiesto di mettere fine ai bombardamenti aerei e alle incursioni sul nostro territorio e non lo hanno fatto” ha affermato laconicamente il presidente del Sud Sudan a colloquio con il suo omologo cinese.
Ma Kiir non si è limitato a chiedere il sostegno di Pechino nel conflitto. Il suo viaggio nel paese asiatico era finalizzato soprattutto a ottenere maggiori investimenti cinesi. Non è un caso che, contestualmente alla visita di Stato, il neo presidente abbia inaugurato la nuova ambasciata nella capitale.
Secondo indiscrezioni raccolte e pubblicate dal Financial Times, Kiir ha chiesto alla Cina di finanziare un grande progetto di oleodotto, per il quale i cinesi hanno già fornito supporto tecnico. L’infrastruttura strategica permetterebbe a Juba di non dover sottostare alle esose richieste di Khartoum per l’utilizzo delle condutture presenti sul suo territorio e che dal sud si estendono sino a Port Sudan, nel nord del paese.
Il Sud Sudan sta dunque gettando le basi, che appaiono già solide, per creare vie alternative all’export del suo greggio. Ed è proprio questo il casus belli che sta trascinando i due Stati in una nuova guerra fratricida.