Vincere non basta, se il petrolio cala Putin rischia grosso

Scrirtto da: Stefano Casertano
Fonte: http://www.linkiesta.it/putin-elezioni-vince

Il nuovo presidente è ancora Vladimir Putin. Ha vinto, ma ora viene il difficile: contro di lui si è schierata una classe media nata proprio in questi anni, che chiede più democrazia o almeno una maggiore rappresentazione. Finora Putin ha dominato grazie all’esportazione dell’energia e a repressioni studiate. Ma per continuare deve cambiare molto, se non quasi tutto. Un qualsiasi problema alla rendita petrolifera – che ancora rappresenta due terzi delle esportazioni nazionali – riempirebbe le piazze.

Il fatto che la classe media iniziasse a ribellarsi a Putin era il minimo che poteva capitare, in un paese che nel 2011 è cresciuto del 4,3%, con una media per trimestre dell’1,22% dal 2003 a oggi. Lo sviluppo economico segna la fine del grande consenso per il presidente russo: come rilevato da molti, la ricchezza forma la classe media, e la classe media ha il brutto vizio di pretendere rappresentanza democratica.È un fenomeno che accomuna tutti i paesi petroliferi: finché l’esportazione di risorse energetiche rappresenta l’unico polo economico veramente stabile, strutture dittatoriali o semi-dittatoriali riescono a mantenersi al potere. Quando il resto dell’economia cresce, la piramide crolla.

In genere, lo sviluppo in queste economie segue tre fasi. Nella prima, quando il paese si trova nelle prime fasi di crescita, il leader impiega strutture per ricompensare direttamente una base “tecnica” di sostegno. È ciò che ha fatto Putin dal 1999 fino alla fine del secondo mandato, nel 2008: distribuiva la rendita petrolifera secondo le simpatie politiche e industriali. Ha cambiato il modello di “oligarchi” subito dal suo predecessore Boris Eltsin, per favorire un altro sistema più fedele al Cremlino. Se “teste calde” come il povero Mikhail Khodorkovsky sono stati segregate nelle carceri siberiane, altri personaggi sono stati premiati, peraltro con il favore del popolo. Si prenda il caso del presidente dell’azienda energetica Lukoil, Vagit Alekperov: ha un patrimonio personale stimato in 14 miliardi di dollari, e alle conferenze viene applaudito dagli studenti russi, anche all’estero.

Nella seconda fase, il sistema di potere inizia a non reggere più, perché si forma una prima idea di “classe media”. I soldi del petrolio, purtroppo per il leader, hanno il viziaccio di finire ogni tanto nelle tasche del popolo: il “trickle-down effect” esercita appunto, il suo effetto. A questo punto, la strategia cambia: la classe media deve essere “cooptata”. Putin è convinto di trovarsi a questo punto: ha compreso che il sistema in auge fino al 2008 non regge più, e c’è da credergli nel fatto che voglia cambiare.

Il problema – e siamo sicuri che Putin lo sa, perché ha fior di consiglieri a circondarlo – è che nessun leader semi-democratico è mai riuscito a sopravvivere politicamente a questa fase, a meno di non impiegare violenza su larga scala. Lo Scià iraniano Mohammed Reza Pahlavi aveva un sistema di circa 50 famiglie che cibava di soldi petroliferi per cooptare la borghesia di Teheran – ma dovette soccombere alla rivoluzione del 1979, non prima di aver sciolto i cani dalla Savak, la terribile polizia segreta; e non prima di aver mitragliato la folla a piazza Zhaleh, l’8 settembre del 1978. Anche in Nigeria, il ritorno a un maggior livello di normalità economica verso la fine degli anni Novanta ha provocato la transizione dalla terza dittatura militare, alla quarta repubblica. Casi analoghi si sono verificati in Indonesia e Malesia.

Putin può aver vinto le elezioni con un “incredibile” 65% delle preferenze, ma non sarà in grado di arrestare l’onda interna. Sta cercando un nuovo nemico contro cui coalizzare le forze sociali. I suoi discorsi, tra lacrime alla Fornero e musica rock, traboccano di nazionalismo. È la strategia più facile: quando Pahlavi sparava su donne e bambini, lo faceva sostenendo che “non era per difendere se stesso, ma l’Iran”. Putin nei suoi discorsi ha citato ripetutamente la necessità di “difendere la Russia”, anche se non si è capito bene da chi. Ha ricordato la battaglia di Borodino contro Napoleone, oltre alla difesa contro l’invasione nazista. Chi sia oggi nei panni delle truppe francesi o dei nazisti viene lasciato intendere in maniera vaga, ma sembra sia un misto di attivisti occidentali, NGO delle rivoluzioni colorate e russi che hanno guardato troppa televisione occidentale.

Qualcuno è arrivato a sostenere che la Russia passerà attraverso una rivoluzione simile a quella del 1917. Non è tanto l’opinione in sé a impressionare, quanto il fatto che possa essere espressa: l’idea del 1917 è di Yevgeny Gontmakher, sociologo all’istituto moscovita per lo sviluppo contemporaneo. Certo è che Putin dovrà introdurre cambiamenti radicali: non bastano un paio di discorsi da film di Roland Emmerich per salvarsi. Il vero problema è che, più che lo sviluppo, Putin deve temere gli scossoni della recessione. Un qualsiasi problema alla rendita petrolifera – che ancora rappresenta due terzi delle esportazioni nazionali – riempirebbe le piazze.

Se osserviamo tutto quello che è successo oltre la sfera morale, Putin ha fatto un buon lavoro. Ha sottratto il possesso del paese dal monopolio delle mafie, ha riorganizzato l’esercito, ha restituito un ruolo geopolitico al paese. La produzione di petrolio ha raggiunto il record post-sovietico nel febbraio di quest’anno. Le dinamiche di questi giorni sembrano suggerire che l’agenda di Clinton pensata per la Russia degli anni Novanta stia funzionando, anche se con una ventina d’anni di ritardo: il “modernismo” di Washington sta portando la democrazia tramite lo sviluppo.

Non è ancora chiaro davvero quale sia il disegno politico di Putin a questo punto. Forse si tratta della mera permanenza al potere. È difficile che riesca a stabilire un record, a meno di non essere rieletto nel 2018. L’età non è un problema: avrà 65 anni, mentre Yuri Andropov iniziò il mandato a 68 anni, e Putin ha oggi solo un anno di più rispetto all’età di Leonid Brezhnev al primo mandato. Il problema è che Andropov è morto dopo poco più di due anni al potere. Brezhnev è stato presidente per diciotto anni.

Riuscirà Putin a eguagliare il record di Brezhnev? Potrebbe, se si trascura il fatto che il gerontocrate sovietico, pur di rimanere incollato alla poltrona, fece sprofondare il paese in una tremenda crisi economica. C’è da essere molto scettici sulla vittoria di Putin.

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