Fonte:http://www.ditadifulmine.com/2012/02/il-disastro-di-bhopal-del-1984.html
Wikileaks ritorna a fare notizia con una manciata (circa 5 milioni) di e-mail potenzialmente compromettenti per molte aziende private, governi e agenzie di intelligence di tutto il mondo. La cosa più interessante nel rilascio di queste informazioni è che noi, comuni mortali soggetti al costante bombardamento di mass-media privi di alcuna iniziativa investigativa, siamo finalmente in grado di saperne di più su alcuni episodi poco discussi, o addirittura nemmeno mai sentiti, che in passato hanno causato migliaia di morti.
Uno dei casi destinato a riaprirsi dopo quasi 30 anni è quello del disastro di Bhopal del 1984, per il quale la responsabilità è caduta sull’ azienda americana Union Carbide, in seguito inglobata all’interno di una delle aziende chimiche più potenti del mondo, la Dow Chemical, che finanzierà le prossime olimpiadi londinesi.
L’impianto di Bhopal della Union Carbide India Limited fu costruito nella regione indiana del Madhya Pradesh nel 1969, per produrre il pesticida Sevin utilizzando l’isocianato di metile, un composto estremamente tossico e infiammabile ottenuto dalla metilammina e il fosgene, una delle più velenose sostanze chimiche mai create negli ultimi due secoli.
Anche l’isocianato di metile non scherza in quantro a pericolosità: al contatto con l’acqua crea una violenta reazione termica, la sua velenosità è 500 volte superiore al cianuro e ben 5 volte più elevata del fosgene.
Durante la notte del 2-3 dicembre del 1984, si verificò un’infiltrazione d’acqua in uno dei serbatoi dell’isocianato di metile, che conteneva circa 42 tonnellate di questa sostanza. La combinazione tra i due elementi scatenò una reazione esotermica portando la temperatura interna del serbatoio a 200°C; la pressione fu tale da costringere il sistema di emergenza della centrale ad aprire le ventole di aerazione del contenitore e permettere la fuoriuscita dell’isocianato in direzione della città di Bhopal.
Le ragioni di questa infiltrazione d’acqua sono tutt’oggi poco chiare, anche se si ritiene che l’incidente abbia avuto alla base un errore umano (scarsa manutenzione e assenza di piani d’emergenza). L’impianto di Bhopal, infatti, aveva già fatto registrare malfunzionamenti e incidenti tra i quali si ricordano:
- 1981: un operaio cadde nella vasca del fosgene, morendo 72 ore più tardi;
- 1982: fuoriuscita di fosgene. 24 operai che non indossavano maschere protettive furono ricoverati in ospedale;
- 1982: fuoriuscita di isocianato di metile che avvelenò 18 dipendenti;
- 1982: un ingegnere dell’impianto venne a contatto con l’isocianato di metile, subendo ustioni sul 30% del corpo;
- 1983-1984: continue perdite di diverse sostanze, tra cloro, isocianato e fosgene.
L’incidente del 1984 fu diverso dai precedenti: i reali problemi ebbero inizio quando l’isocianato di metile raggiunse i primi nuclei abitativi della periferia. La nube di gas tossico probabilmente conteneva anche tracce di fosgene, monossido di carbonio, acido cloridrico e anidride carbonica, e la sua elevata densità rispetto all’aria la fece viaggiare al livello del suolo tra le strade della città.
I sintomi iniziali nella popolazione colpita furono nausea, vomito, irritazione agli occhi e senso di soffocamento. I tentativi di fuga a piedi non ebbero molto successo, dato che il lavoro aerobico non fece altro che aumentare i quantitativi di gas tossico inalato.
Al sorgere del sole, migliaia di persone giacevano morte per le strade, e con loro anche qualche migliaio di animali domestici e d’allevamento. La mattina del 3 dicembre 1984 ci furono oltre 170.000 ricoveri in ospedali e cliniche da campo improvvisate per far fronte all’incidente, ma era solo la prima parte del disastro.
Nei giorni successivi, il cibo contaminato venne buttato, e fu proibita ogni attività di pesca per paura di mettere sul mercato pesce avvelenato. Circa 520.000 persone risentirono degli effetti della nube tossica, tra i quali 200.000 sotto i 15 anni e 3.000 donne in maternità.
Le successive inchieste stabilirono un totale di 3.928 morti durante i primi giorni dell’emergenza, anche se organizzazioni indipendenti parlano di circa 8.000 decessi nelle sole 72 ore dopo l’incidente. In totale si contarono oltre 25.000 vittime come risultato dell’esposizione prolungata a questo mix di gas tossici.
Circa 100-200.000 persone subirono danni permanenti ai tratti respiratori e al sistema circolatorio, la mortalità alla nascita aumentò del 200% e il tasso di aborti spontanei del 300%.
Nel giro di qualche giorno, gli alberi della città non avevano più foglie. A distanza di 5 anni dall’incidente, i campioni di acqua e terreno prelevati nei pressi dell’impianto rimanevano tossici per la maggior parte delle forme di vita locali.
Oggi, l’impianto di Bhopal è ancora in piedi, anche se inattivo. Perde costantemente pezzi di struttura, e i residui delle sostanze tossiche contenute nei serbatoi fluiscono nel terreno, inquinando la falda acquifera. A questo si aggiunge il fatto che l’area attorno alla fabbrica fu utilizzata per molti anni come discarica per sostanze tossiche, portando alla chiusura di oltre 100 pozzi d’acqua contaminata.
Attorno alla fabbrica è stato rilevato un gran numero di composti tossici, come Sevin, naftalina, mercurio (da 20.000 a 6 milioni di volte la quantità naturale), cromo, rame, nickel, piombo, cloroformio. Alcune di queste sostanze sono state trovate all’interno del latte materno di molte donne di Bhopal, e l’acqua di alcuni pozzi presenta un livello di contaminazione di 500-1000 volte superiore ai limiti di sicurezza raccomandati dalla World Health Organization.
Circa 30.000 persone bevono ancora oggi l’acqua contaminata dai rifiuti dello stabilimento della Union Carbide, e dalle sostanze tossiche rilasciate nell’ambiente dall’incidente del 1984.