Scritto da: Monica Mistretta
Fonte: http://www.articolotre.com/2018/03/iran-a-bordo-dellaereo-precipitato/
È giovedì 1 marzo. In un incidente stradale nella provincia di Bushehr, sul Golfo Persico in Iran, muoiono due fratelli. La notizia affiora su qualche giornale locale, sembra un fatto di cronaca come tanti altri. Ma Mohammad Bagher e Mohammad Sadegh Yusefi non sono due iraniani qualsiasi. Sono due studiosi dell’ambiente, gli ultimi a morire in una lunga catena di decessi nelle fila degli amanti della natura in Iran.
A sollevare i dubbi sull’incidente stradale che toglie la vita ai due fratelli è l’associazione ambientalista iraniana Battito della Terra che parla apertamente di omicidio.
Poco più di dieci giorni prima in Iran erano morti altri sedici ambientalisti. Erano tutti a bordo del volo 3704 della Aseman Airlines precipitato il 18 febbraio nell’area montuosa di Semirom, a 4.000 metri di altitudine, nella zona centro meridionale dell’Iran. Erano partiti da Teheran ed erano diretti a Yasuj, una città a 2.000 metri sui monti Zagros, poco distante dal luogo dell’impatto.
Nell’incidente aereo non c’erano stati superstiti. I soccorsi erano arrivati solo due giorni dopo. Causa maltempo, avevano detto le autorità. Ma Davood Karimi, dissidente iraniano, racconta un’altra storia: l’aereo sarebbe stato fatto precipitare con tutti i 65 passeggeri a bordo per disfarsi dell’equipe di ambientalisti.
I dubbi sul disastro aereo avevano cominciato a circolare già dalle prime ore dell’incidente. Quel giorno, secondo l’agenzia iraniana Irna, diversi voli erano stati cancellati per il mal tempo. Non è chiaro perché il volo 3704 avesse ricevuto luce verde. Di sicuro, aveva destato notevoli perplessità il fatto che le autorità avessero immediatamente dato per morti tutti i passeggeri prima di aver ritrovato i resti dell’aereo. I familiari delle vittime sostenevano di aver potuto parlare a cellulare con alcuni sopravvissuti nei minuti successivi all’incidente.
A poche ore dal disastro anche il ministro iraniano Mohammad Reza Tabesh, legato alla commissione ambientale del Parlamento di Teheran, aveva fatto notare l’alto numero di ambientalisti deceduti sull’aereo della Aseman Airlines.
Non risulta che sul luogo dell’incidente siano stati recuperati i corpi delle vittime. “Le autorità iraniane hanno trovato solo pochi pezzi di carne umana, che hanno portato via in due zainetti” ci fa sapere Karimi.
Sul perché questi ambientalisti fossero così scomodi per il governo iraniano è possibile fare solo ipotesi. Lavoravano nella stessa equipe del professor Kavous Seyed Emami, noto ambientalista. Anche lui deceduto agli inizi di febbraio. Era morto nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran. Suicida, diceva il comunicato ufficiale.
Emami, passaporto iraniano e canadese, era stato arrestato il 24 gennaio con l’accusa di spionaggio. Era un appassionato della fauna selvatica. Era direttore della Persian Wildlife Heritage Foundation. Insegnava sociologia all’Università Imam Sadegh, dove vengono istruiti i nuovi dirigenti del regime. Karimi racconta che la moglie, quando ha ricevuto la salma del marito, ha dovuto firmare un documento nel quale prometteva di non rilasciare interviste sul caso. A lei le autorità avrebbero consegnato anche un breve filmato nel quale si vedeva che Emami era in procinto di suicidarsi.
Il professore aveva installato alcune telecamere nei boschi e nei campi per osservare gli effetti delle sperimentazioni militari e missilistiche iraniane sulla fauna selvatica e sulla popolazione. Con la sua equipe studiava anche l’inquinamento delle acque sotterranee. Aveva mandato alla Commissione parlamentare per l’Ambiente di Teheran una relazione con il frutto delle sue scoperte poco prima dell’arresto. Secondo l’accusa, passava informazioni a Israele e agli Stati Uniti. Il procuratore di Teheran, Abbas Jafari-Dolatabadi, ha accusato Emami di raccogliere informazioni classificate nel settore della difesa e dei missili: lo faceva con le telecamere installate nei boschi.
Con la sua morte il computo dei decessi tra gli ambientalisti sale a diciannove. Due sono morti nell’incidente stradale di pochi giorni fa. Sedici sull’aereo precipitato. Di alcuni di loro e degli studi sull’ambiente che stavano conducendo, ci sono tracce sul web: Mohammad Fahimi, Ali Farzaneh, Seyed Reza, Fatemi Talab, Ahmad Ciarmiani, Khalil Ahangaran, Mojgan Nazari, Behnam Barzegar, Ahmad Nazari, Gholamali Ahmadi, Salman Sharifazari, Mehdi Javidpoor, Hamed Amiri, Seyed Behzad Siadati, Ardeshir Rad, Mostafa Rezai, Ali Zare.
Intanto in Iran ci sono stati altri arresti tra le file degli ambientalisti. L’elenco è lungo. Morad Tahbaz, con passaporto iraniano e americano, è membro della direzione ‘Mirase Parsian’, ‘Eredi dei Persiani’. Human Jokar è il direttore progetto ‘Tutela dello Juspalange Asiatico’. Il giovane scienziato Taher Ghadirian, fa parte dell’associazione dell’Unesco ‘L’uomo e la terra’. Sam Rajabi è un esperto ambientale. Amir Hossein Khaleghi e Niloofar Bayani sono due studiosi della fauna selvatica. La signora Sepideh Kashani è la moglie del direttore delle ricerche ed ex consigliere del Progetto ambiente dell’Onu, Human Jokar.
A Teheran la notizia delle morti degli studiosi sta circolando su qualche giornale locale e nei bollettini delle associazioni ambientaliste. Per il resto, tutto tace. Questa storia di morti, ambiente e presunto spionaggio per ora resta un mistero. Qualcosa ha detto il ministro iraniano Reza Tabesh. Molto ha raccontato il dissidente Karimi. Sui media internazionali solo qualche breve accenno.