Scritto da: Piero Schiavazzi
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/
[Jean-Baptiste de Franssu, neopresidente dello Ior. Foto Ansa via huffingtonpost.it]
Il Vatican asset management (Vam) diventa perno dell’architettura economica della Chiesa, senza però ridimensionare l’Istituto delle opere religiose. L’Italia perde posizioni nello spoil system post-conclave.
Sarà l’imprinting del costruttore di navi, che a dispetto del pedigree finanziario ha prevalso sin dall’inizio nel suo profilo, in virtù, o vizio, del legame con i cantieri di Amburgo, da lui presieduti. Però a vederlo armato di cannocchiale sul terrazzo della prefettura per gli Affari economici, durante la canonizzazione di Roncalli e Wojtyla, il barone e banchiere Ernst Von Freyberg sembrava davvero un ammiraglio, che scruta compiaciuto l’orizzonte dal ponte di comando.
Sicuro di sé, convinto di avere superato la tempesta. Mentre in quel momento, probabilmente, partiva il siluro che ieri è giunto a destinazione. “Sfiducia costruttiva” la definirebbe un costituzionalista, inventata del resto in Germania e perfetta per garantire un trapasso morbido e immediato, dopo la bruta e brutta figura del maggio 2012, con l’estromissione di Ettore Gotti Tedeschi e la conseguente, travagliata gestazione di 9 mesi per partorire un successore. A pontificato dimissionario e quasi scaduto.
Ma il ripristino del rito antico e delle buone maniere nulla toglie alla rottura e all’efficacia “sacramentale” del gesto. Francesco ha cancellato il peccato originale del 15 febbraio 2013, quando con procedura inedita e inaudita fu insediato Von Freyberg. Una decisione che ipotecava pesantemente e in maniera politicamente scorretta l’autonomia del nuovo papa, scrivemmo a caldo.
Così la nemesi storica ancora una volta si è rivelata fatale ai comandanti della marina teutonica, che affondarono in acque argentine come il grande Von Spee al largo delle Malvinas, nel dicembre 1914, o il suo emulo Hans Langsdorff un quarto di secolo dopo, nella battaglia del Rio de La Plata.
Non è stata infatti la Francia a eliminare la Germania dalla “fase 2” della riforma dello Ior, prendendosi una improbabile, impossibile rivincita sulle gerarchie del mondiale brasiliano. Tra coloro che sedevano accanto a Von Freyberg, in conferenza stampa, il neopresidente Jean-Baptiste de Franssu è in fondo il meno indiziato e imputabile. Al pari del portavoce vaticano Padre Lombardi, che pure a suo tempo non ha gradito di perdere la comunicazione dell’istituto a beneficio di uno spin doctor e rampollo della nobiltà asburgica, chiamato e calato dalla Baviera.
La ricerca del movente conduce giallisti e giornalisti a un’equa e solidale ripartizione, di compiti e colpe, tra il porporato australiano George Pell, “secretary of the Treasury”, di fede papale e fedeltà atlantica, e il maltese Joseph Zahra, presidente della Cosea, il think tank incaricato di riferire a Francesco sulla riorganizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede.
Mentre Pell, figlio di un pugile campione dei pesi massimi, assestava il knockout, il laico Zahra, con piglio mellifluo e cardinalizio, in una curiosa inversione dei ruoli, ha provveduto a un abile arbitraggio, dando a ciascuno l’impressione di sollevare le braccia e sembrare alla fine il vincitore.
Von Freyberg, cavaliere di Malta e potente tesoriere del ramo tedesco dell’Ordine , viene dunque congedato a opera di un maltese doc, che cavaliere non è ma in compenso pratica l’arte mediterranea della navigazione sotto costa, indispensabile tra gli scogli della curia, dove il barone svevo si è incagliato. Senza trovare alleati né soccorritori.
Nonostante le prolusioni e profusioni di dati contabili, le ragioni dell’avvicendamento allo Ior non risultano, in ultima e stringente analisi, economico-finanziarie. Ma politiche e geografiche. Non dissimili dai criteri che, in queste ore, guidano partiti e governi nelle trattative volte a riempire le caselle che contano in Europa. In tale ottica e logica Ernst Von Freyberg, nominato da Ratzinger e Bertone, cede il passo e soccombe sul duplice fronte, interno e internazionale, degli equilibri tra i paesi e dello spoil system post-conclave.La Germania, che con il cardinale Reinhard Marx assume la guida del Consiglio per l’economia , cioè del “comitato per la programmazione” o “Cipe” della Santa Sede, dotato di autonomia e autorità d’indirizzo, difficilmente avrebbe potuto conservare la presidenza dello Ior. Con motivazioni analoghe a quelle per cui l’Italia, che con Draghi occupa la poltrona più alta dell’Eurotower, non potrebbe aspirare anche a quella dell’Eurogruppo.
“La Chiesa universale non è il Vicariato di Roma”. George Pell ha risposto gioviale alla nostra domanda, divertito dal paragone con la terra dei canguri: “Eminenza, osservando la composizione del tavolo, dove siete tutti stranieri, non le pare che l’Italia, rispetto al recente passato, dai vertici sia improvvisamente precipitata Down Under, ininfluente nel controllo delle finanze vaticane?”
Dei due nomi che ancora mancano per completare il nuovo “cda” dello Ior, uno in effetti sarà certamente italiano, accanto al già citato de Franssu e alle new entry rappresentate dal tedesco Clemens Boersig – di provenienza Deutsche Bank – dall’americana e repubblicana Mary Ann Glandon, notoriamente ostile a Obama, e dell’anglo-australiano, mecenate Sir Michael Hintze. Tuttavia è altrettanto evidente che l’innesto di un consigliere, in assenza di ruoli apicali, non porrà rimedio al declassamento della penisola. Proprio mentre lo Ior, al contrario, lungi dall’essere ridimensionato aumenta e “rafforza il suo business”. A differenza dell’Apsa, proclamata da un lato “banca centrale”, ma spogliata dall’altro della sezione immobiliare e ricondotta, o ridotta, a un ruolo di “tesoreria comunale”.
Si avvera la profezia dell’Huffington Post che il 15 aprile, all’indomani della memoria liturgica della risurrezione di Lazzaro, aveva prospettato e pronosticato all’Istituto un futuro da fondo sovrano, moderno e disinvolto strumento di manovra, in uso e a misura dei monarchi del XXI secolo: dai mandarini del celeste impero agli emiri dei giacimenti del Golfo, cioè la fabbrica e i serbatoi del pianeta.
Un ruolo che si attaglia perfettamente al profilo professionale di de Franssu e a quello strutturale del Vam, il “Vatican asset management”, organismo di nuova istituzione e nevralgica collocazione, “in cui spostare gradualmente la gestione del patrimonio, al fine di superare la duplicazione degli sforzi in questo campo tra le istituzioni vaticane”, recita il comunicato.
Centralizzazione delle decisioni quindi, razionalizzazione degli interventi, massimizzazione degli effetti strutturali, non più dei profitti congiunturali, sulla base delle priorità indicate dal Consiglio e attuate dalla segreteria per l’Economia. Quest’ultima, in attesa di definire i suoi statuti, si presenta sin d’ora come “un ministero pesantissimo,” con portafoglio”, che incorpora il patrimonio immobiliare dell’Apsa e muove sulla scacchiera dei mercati mondiali attraverso il Vam, fungendo da retroterra strategico e al tempo stesso avanguardia dinamica del sistema finanziario della Santa Sede. Che per la prima volta viene messa in grado di sviluppare una “politica economica” da grande potenza, nell’accezione moderna del termine.
Davanti alle aspettative delle periferie povere, la chiesa di Francesco non poteva restare disarmata sul fronte operativo, né affidarsi al braccio secolare della finanza globale, rispetto a cui vuole prefigurare piuttosto un’alternativa, impiegando la massa d’urto dei propri capitali.
Vam dunque, acronimo immacolato e più gradito di Ior, gravato dal tempo e dagli scandali. A sentirlo pronunciare, in sala stampa, sembrava il prototipo di una nuova vettura, che rivela progressivamente le sue caratteristiche, camuffato e inseguito dai fotografi. Un “fuori strada” di cilindrata importante, da sei-sette miliardi di euro, progettato tuttavia per carreggiate di scarsa percorrenza, quelle che il mercato trascura e non raggiunge, a basso afflusso di capitali e alta densità di popolo. È questa la “fase due” di Bergoglio: non solo l’applicazione degli standard, ma la creazione di nuovi modelli.
Oltre alla trasparenza, la testimonianza. La qual cosa obbliga i conducenti a integrare il curriculum distribuito ai giornalisti con un supplemento d’anima. Che i master accademici non contemplano e le agenzie di rating non quotano. Ma senza il quale ci potremmo ritrovare, tra un manciata di mesi, a scrivere la cronaca di nuovi avvicendamenti.
Per approfondire: Geopolitica dello Ior
Articolo originariamente pubblicato su Huffington Post.