Scritto da: Marco savina
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/quel-che-resta-del-giorno/61010
In giro per il mondo qualcuno ha nostalgia dei tempi della Guerra fredda, ma in Italia avremmo più che altro bisogno di una ferma e decisa epurazione – morale, non militare. Una ricetta economica per Renzi.
Winston Churchill aveva vinto la guerra e nel febbraio del 1945 durante la Conferenza di Yalta si animò a dire nel suo innato humor britannico che l’Unione Sovietica era “a riddle, wrapped in a mystery, inside an enigma”, ovvero un indovinello avvolto in un rompicapo contenuto in un enigma, inoculando a Franklin Roosevelt e Iosif Stalin il virus che avrebbe dato inizio alla guerra fredda.
Aveva vinto, ma a che condizioni? L’Inghilterra era una nazione dissanguata e in ginocchio, il prezzo di avere sconfitto insieme con gli alleati la Germania, l’Italia e il Giappone si dimostrava troppo alto per una popolazione stremata dagli stenti e dalle sofferenze. Churchill nel 1945 perse le elezioni, al suo posto il laburista Clement Attlee, un signore serio e dall’aria perennemente triste che d’altronde non aveva molto di che divertirsi quando assunse l’incarico a primo ministro. Da buon laburista era un pragmatico e si rese subito conto che per far uscire l’Inghilterra dalle macerie della guerra, rilanciare l’economia e ridare speranza e lavoro era necessario prendere poche decisioni tanto drastiche quanto immediate, prima fra tutte l’autonomia delle colonie che il paese non poteva più permettersi di mantenere.
“Le Roi le veult”, 4 parole in un desueto dialetto franco-normanno e re Giorgio VI a malincuore firmò il decreto per l’indipendenza dell’India, la gemma più preziosa della Corona Britannica e contestualmente perse il diritto a fregiarsi del titolo di imperatore. Lord Louis Mountbatten fu inviato come viceré per gestire una tranquilla transizione, ma i dissidi politici, economici e religiosi fra Jawahrlal Nehru e Mohammad Ali Jinnah seppure con l’indefessa mediazione del Mahatma Gandhi non la resero possibile. Nella notte tra il 14 e 15 agosto del 1947 India e Pakistan si scissero in due nazioni antipode e ottennero la loro indipendenza in un bagno di sangue a seguito di un’intransigenza fratricida, feconda base per un fondamentalismo islamico e hindu che vive e vegeta nel tempo e nella storia. Al contempo migliaia di civil servants e militari britannici che avevano governato con pugno di ferro la colonia per quasi due secoli dovettero fare le valigie, abbandonare case, residenze e una vita piacevolmente avventurosa per rientrare verso l’incerto futuro che li aspettava nella nebbiosa e impoverita madre patria.
L’Italia aveva perso la guerra e nel finale l’aveva persa ancora peggio viste le conseguenti nequizie commesse tra vendicativi concittadini della stessa nazione. Ma Stati Uniti e Unione Sovietica decisero che tutto sommato non era successo niente di grave, l’Italia era troppo geopoliticamente importante nel nuovo scacchiere Est-Ovest e bastava mettere solo un poco di ordine in un paese pieno di teste calde e politici a marce alterne.
L’ambasciatrice Usa a Roma – Clare Boothe Luce, moglie in seconde nozze dell’editore di Time, Life e Fortune – collaborò attivamente con il Dipartimento di Stato e la Cia nel formare un centinaio di società fantasma il cui solo scopo era finanziare i partiti politici contrari al comunismo. Ovviamente la stessa cosa fece l’Unione Sovietica per facilitare il consolidamento e l’avanzata del Pci, da cui un grande periodo di bonanza da cui il boom economico dei primi anni sessanta.
Una bonanza che durò fino al 1974 quando il segretario di Stato americano Henry Kissinger decise che era ora di terminare tutta questa commedia dei finanziamenti occulti e la Repubblica Italiana acconsentiva a un prestito sovrano da parte degli Usa di 10 miliardi di dollari o non se ne faceva nulla. Il prestito fu accettato e le società di comodo nell’arco di 2 anni sparirono letteralmente dalla circolazione. Mosca sempre molto attenta a questo tipo di determinazioni a sua volta tagliò e di molto i fondi al Pci che pure aveva vinto le elezioni amministrative e solo grazie all’accorta gestione dei leader dei due partiti di maggioranza esitava nell’andare direttamente al potere, proprio perché senza quei soldi sarebbe stato difficile gestire la base estremista formata da operai acculturati e pseudo intellettuali disillusi. Dal fracasso di questo raffinato esercizio naufragato nel mare magnum della virtual reality iniziò il vero terrorismo di cui lo Stato approfittò varie volte per provare a disincagliare la pesante catena della mancanza di sostentamento alla politica, un cappio a cui l’inventiva italiana diede rapida soluzione con faraonici programmi di superflue opere pubbliche e emissione di debito i cui effetti ancora oggi sono proprio lì visibili a raccontare la verità.
Purtroppo il mondo è ancora pieno di nostalgici incontentabili, ripieni di un’autostima illimitata, morbo peggiore di qualunque nemesi storica, che hanno buona memoria solo per le cretinate e pessima quando non conviene. Esistono coloro che ancora cantano con falso entusiasmo Bella ciao, canzone smarrita anche dai più pervicaci comunisti nordcoreani mentre altri come Vladimir Putin – degno amico di Silvio Berlusconi – si ritengono esenti dal tempo e dagli eventi, però sempre egemonici proprio come un super alcolico cocktail di Stalin e Zukov e grazie al cielo senza i rischi di dover combattere la battaglia di Stalingrado perché non ne avrebbero i sufficienti attributi.
Nel 1986 Ronald Reagan, consumato attore di B movies ed evidentemente annoiato per un contrasto bipolare che non portava da nessuna parte, decise di giocare la partita a poker del secolo XX, annunciò la dottrina del Strategic Defense Initiative detto anche Scudo Stellare o Star Wars e bluffando alla grande chiamò al tavolo Mikhail Gorbaciov per capire se si metteva all’altezza. Da buon sovietico obbediente Gorbaciov non perse tempo a rilanciare e Reagan ebbe gioco facile, la posta salì fino a one trillion di dollari, al tempo una somma impressionante e ovviamente fittizia per un programma militare che non si materializzò se non in minima parte; tuttavia questo fu l’inizio del declino dell’Urss e la fine della guerra fredda. Che noia tutto si ripete, guerre regionali e dispute qualunquiste oramai si accendono solo per questioni economiche – non certo ideologiche, men che meno politiche.
Putin pensa all’Ucraina e alla Crimea e ritiene che Obama sia un chiassoso povero negro hawaiano ma purtroppo sbaglia, mai sottovalutare gli americani e in un bagno di umiltà dovrebbe visitare Babij Yar vicino a Kiev solo per rendersi conto dell’innaturale senso del disprezzo per la vita umana. Obama è al suo secondo e ultimo mandato presidenziale e lo evidenzia dall’espressione ironica perché quando parla sembra un rapper compromesso tra Roosevelt, Kennedy e Pharrell Williams, però fra un paio di anni gli Stati Uniti saranno in condizione di vendere il proprio gas a un terzo del valore di quello russo incluso trasporto a domicilio e gli effetti finanziari si sentiranno forti e chiari nella geoeconomia mondiale. Resta il fatto che nella parte bassa della cucina di tutta questa ridondanza nessuna delle due super potenze ha più vinto niente dopo il 1948, se non dissanguarsi in termini di materiale umano e tecnologico solo per conseguire disastrosi pari e patta a fronte di situazioni non convenzionali, non pensate, non valutate e scappate di mano. Fare la guerra oggi è una spesa che nessuno può più permettersi a meno di vendere il proprio paese ai fabbricanti di armi, al contrario minacciarla ancora non costa niente.
La stessa sintomatologia nostalgica passa alla signora Merkel, così piena di rigore teutonico solo per essere nata nell’allora Germania dell’Est e cresciuta con la cultura di Markus Wolf, persistente cancelliera emula di Margaret Thatcher ma senza averne la visione d’insieme, la classe, la durezza e l’audacia risolutiva nel dare soluzioni definitive a problemi chiari e presenti. Con tutto il massimo rispetto, la signora Merkel non è l’autonominato presidente di un turbolento condominio e dovrebbe ricordarsi quanti soldi deve ancora la Germania a tante controparti quando il suo predecessore Helmut Kohl pagò tutto quello che non aveva per riunificare le due Germanie; operazione per altro riuscita solo in parte, e sarà forse per questo minuscolo dettaglio che la Federal Reserve non gli restituisce l’oro conservato nei suoi caveau. Nessuno è esente da critiche, solo che i più forti sono apparentemente intoccabili, ma il sistema bancario e industriale tedesco è un colabrodo paragonabile al Brasile e quando imploderà, perché prima o poi i nodi arrivano al pettine fino, tutti pagheranno il conto.
Inclusa la smisurata sovrastruttura dell’Unione Europea che vale centinaia di miliardi di euro l’anno e ancora non si è capito bene a cosa serva, lontana dai desideri dei padri fondatori traditi dal tempo, dall’avidità, dalla corruzione e dalla burocrazia, per la fattiva attuale utilità se si tagliassero al 50% le teste di tutti i tipi ed in particolare i faraonici costi funzionerebbe uguale. Uguale storia per l’Fmi, la Banca Mondiale e l’Ocse: organismi stracolmi di gente che percepisce stipendi da favola solo per riempire ricettari e fotocopiare quello che si dovrebbe fare, una pletora di medici economisti la maggior parte dei quali dovrebbe tornare a studiare e viaggiare a spese proprie il mondo conosciuto e sconosciuto a capire una corretta applicabile economia globale, visto che di soluzioni forse ne hanno azzeccata una negli ultimi dieci anni.
Per non parlare dell’Onu, a che servono le Nazioni Unite oggi? A niente se non a mantenere un’altrettanta quantità impressionante di funzionari e diplomatici inutili, compreso un Segretario Generale dal quale nessuno comprerebbe un’auto usata. Si vis pacem para bellum, chi vuole fare casino lo farà ugualmente e se ne fotte del Consiglio di Sicurezza, dei diritti di veto e delle sanzioni dettate e mai realmente esercitate. Tutto molto diverso dall’embargo di Kennedy vs Cuba del 1962 e assai lontano dagli epici scontri tra Adlai Stevenson e Valerian Zorin, questi sì che erano diplomatici di alto rango, gli attuali sono solamente una pallida espressione rispetto ad un mestiere che ragiona verso la propria tasca ed il relativo potere da leccapiedi per nascondere l’insicurezza del non saperlo fare.
Di pari passo la Nato, altro organismo sovranazionale pieno di supponenti stellati militari e consulenti di ogni tipo e specie proprio lì a giustificare incarichi e ricche prebende per mantenere sempre vegeto il charter che se un paese alleato fosse attaccato da potenza straniera tutti lo difenderanno. E chi sarebbe questa potenza straniera? Gli invasori alieni dallo spazio? Gli zombie? I mostri del Pacific Rim? O è solo una mediocre scusa per vendere macchinari tipo gli F-35 Lightning Stealth prodotti guarda caso dalla Lockheed Martin Marietta – Pratt & Whitney ovviamente americane, al modico costo di 250 milioni di dollari al pezzo più circa un miliardo per la manutenzione della vita utile dell’aereo, senza tenere in conto della dotazione di armamenti e munizioni che si paga ovviamente a parte, oltre l’addestramento dei piloti e personale tecnico di supporto anche questo a parte, informazione sconosciuta perché meglio non dirla.
Resta da chiedersi che se ne fa l’Italia di un cacciabombardiere di quinta generazione, laddove mai dovesse scoppiare una terza guerra mondiale esistono solo due opzioni a parte sapere da chi deve difendersi o chi attaccare, dichiararsi paese neutrale o arrendersi rapidamente, altrimenti meglio contrattare Johnny Depp che costa molto meno, decisamente più charmant e magari riesce anche a risolvere il problema dei due marò da anni detenuti in India e come Capitan Jack Sparrow si inventa una extraordinary rendition per farli uscire di nascosto, visti gli inefficaci sforzi della diplomazia italiana con questa figura da operetta di Staffan de Mistura, unita a esosi avvocati indiani che naturalmente fanno di tutto per non perdere cotanto pagante cliente.
Con un quinto di quanto speso fino ad ora bastava fare una telefonata al Mossad, ma il gentiluomo che vive in una villa sulle colline che dominano Tel Aviv non si fida di nessuno, meno che meno dei colleghi italiani e a ragione. Negli ultimi 10 anni la finanza e l’economia globale sono riuscite a complicarsi la vita in maniera tale e i cicli economici sono diventati talmente complessi che a tutto l’esercito di economisti al servizio della pubblica opinione manca solo la Sibilla Cumana con i suoi vaticini per capire verso quali cause forse si possono riscontrare effetti ai quali eventualmente porre rimedio. L’handicap dopo la crisi del 2008 – che però arrivava come onda lunga dalla bolla immobiliare americana e spagnola del 2002-2004 – viene dai conglomerati too big to fail ovvero talmente grandi che il braccio destro non sa quello che fa il sinistro in giro per il mondo; quindi se Citigroup o Goldman Sachs o JP Morgan Chase anche senza cattive intenzioni ma solo per fare trading decidono autonomamente di vendere o comprare il titolo di uno Stato piuttosto che di un altro succede un disastro.
Un fatto veritiero è che i trend negativi si ripercuotono con maggiore forza rispetto ai tempi di quelli positivi e si abbattono vigorosamente proprio verso quei paesi che non godono di robuste infrastrutture industriali e di adeguate risorse naturali, frutto di pessime quanto artificiosamente alterate decisioni politiche, a maggior ragione quando non si ha il controllo della base monetaria perché questa dipende da altri, ovvero la politica economica è disgiunta da quella di emissione che è diretta dalla Bce. I mercati finanziari globali dal 2006 in avanti hanno fatto di tutto per coprire le proprie pecche congenite e avvilupparsi in un progressivo assurdo nodo gordiano che neanche un ingegnere meccanico di grande qualità riuscirebbe a dipanare, visto che la causa del default di un solo insignificante pezzo provoca il collasso dell’intera macchina e i sintomi si notano quotidianamente dalle quotazioni e dati fin troppo generosi verso nazioni che non lo meritano tipo l’Italia, di conseguenza scorre un brivido gelido lungo la schiena.
Troppi soldi senza padrone si muovono per il mondo e sono corrispondenti a nefasti algoritmi automatici generatori di prodotti sintetici che lo stesso John Nash farebbe fatica a interpretare, quindi attenzione perché i manovratori ci mettono lo spazio di un dime a girarsi e a combinare un massacro senza prigionieri e non esistono possibilità di manovra per contenere questo tipo di attacchi one shot, one bullet. In punto di principio la politica non dovrebbe essere un mestiere perché la moda attuale è disprezzarla, ma alla fine sono tutti lì attaccati al sistema come se non sapessero cos’altro fare nella vita, un’autostrada di facce vizze e inguardabili e quelle nuove non sono da meno, per colmare un cahier de doléance senza fine che provocherebbe imbarazzante disagio anche al cattivissimo Felonius Gru.
Così dopo il delirante ciclotimico Berlusconi e il morticio Monti ecco arrivare in pista il governo di Enrico Letta: apprezzabile giovane di buona famiglia, un’ottima scuola nell’arte della mediazione delle cose e della gente e per una volta tanto eccitante padronanza dell’inglese e del francese, cosa rara in Italia. Ma se il capitano deve manovrare in acque tempestose non può pilotare la nave e simultaneamente gestire equipaggio e passeggeri con l’educazione, il consenso e tracciando una rotta stop and go, dura lezione che a qualcosa gli servirà per il futuro.
Ancora più giovane Matteo Renzi che si atteggia invece al James Dean di Gioventù bruciata magari senza dare troppo peso al fatto che tutta una generazione di giovani italiani è veramente bruciata e se si mantiene inalterato il gradiente sarà difficile tra 10 anni continuare a pagare le pensioni. Ma di James Dean ha anche il tratto da macho un po’ scanzonato e irriverente tipico della frase prediletta dall’attore: the gratification comes in the doing, not in the results, la gratificazione sta nel fare, non nei risultati, perciò il nuovo fiammante presidente del Consiglio si sveglia quando è ancora buio e alle prime luci del mattino già è in ufficio, forse per interpretare le anime, i costumi, i vizi, le forme, le volontà, le strategie, le logiche e gli obiettivi di rissosità della politica italiana che è come cercare il latte degli uccelli o il flight recorder del volo MH 370, meglio riascoltare per i non nostalgici la canzone “Io e il Presidente” dei Giganti, anni Sessanta dello scorso secolo.
Certo appare improbo il compito che lo aspetta al varco, data l’enorme complessità di uno Stato il cui bilancio rappresenta un vero unbalance secondo le opportune convenienze e specie se per rattoppare quanto possibile serve recuperare un ticket pervicacemente costoso da 100 miliardi di euro in denaro fresco. Ma l’Italia ancora una volta è un paese di infrastrutture industriali ed energetiche modeste oltre che povero di materie prime. Con che cosa mangiano 60 milioni di persone, con il Made in Italy, con le Ferrari, con la rinomata cucina italiana, con il turismo estero di massa e cialtrone?
Più si adoperano i nuovi sistemi di comunicazione massiva e più si diventa deboli, vulnerabili e trasparenti, una volta si diceva “il re è nudo, viva il re”, adesso l’uso comune è rompere le balle smisuratamente per Facebook, Twitter e Sms propagandando un programma per trasformare rapidamente un vecchio motore diesel in un cavallino rampante, giusta ambizione ma senza coraggio, come dire: cosa manca a una persona per essere un genio? Il genio. Non serve fare polemica – questa lasciamola ai politici – e neanche critica – questa la lasciamo alle società di rating – basta solo un poco di ordine nelle vere priorità strategiche impellenti e non l’affanno del fare solo per dimostrare che qualcosa succede.
Innanzitutto le imprese, al primo stormir di foglie di una crisi licenziano il personale. Delle tre una: erano sovradimensionate in partenza, riescono comunque a stare sul mercato con la metà degli addetti o semplicemente non stanno sul mercato. Altro tema strategico, i costi della pubblica amministrazione italiana nel loro enorme complesso e inclusi gli interessi per il servizio a un debito che ha allegramente oltrepassato i 2 mila miliardi di euro oltre quanto deve ciclicamente verso fornitori ammontano a circa 970 miliardi annui rispetto a un pil inchiodato da tempo a 1.600 miliardi, una popolazione pseudoattiva di 43 milioni di cui 5 milioni di giovani disoccupati, 15 milioni che guadagnano poco e male e 10 milioni sotto la soglia di sopravvivenza, non includendo pensionati che muoiono di fame e gente comune che non sa che fare della propria vita in un paese annoverato nel G7, però con comunista distribuzione: il 5% delle persone e/o imprese detiene il 75% della poca ricchezza che rimane.
In Italia ci sono 315 senatori della Repubblica e 630 deputati nazionali contro 100 senatori e 435 deputati americani. Facendo i debiti parametri di estensione territoriale, quantità di persone, pil e forza d’urto industriale e militare l’Italia spende nella pubblica amministrazione solo qualcosa meno che gli Usa. Inutile chiamare al capezzale dell’indigente colti consulenti e dotti commissari che con le forbicine tagliuzzano qui o lì, francamente bisogna avere il coraggio di dire che la nazione non è più in grado di pagare queste somme e che pertanto dal 2015 il budget federale sarà del 30% in meno come minimo, visto che lo Stato nel suo insieme (comprese quindi Regioni, Province e Comuni) è oltretutto anche azionista di circa 8 mila società che non si sa bene cosa facciano, tutte in solenne perdita, mai fallite e sempre rifinanziate ma dotate di presidente, amministratore delegato, consiglio di amministrazione e collegio sindacale, plus dirigenti e addetti.
Una vera vergogna, neanche gli Stati Uniti possono più permettersi 18 agenzie federali dedite alla sicurezza nazionale e pertanto molte verranno chiuse o accorpate, tanto per quello che fanno servono a poco, ma l’Italia ha due servizi d’intelligence – uno civile e uno militare – più un terzo che li sovraintende e come se non bastasse anche quelli di Esercito, Marina, Aviazione, Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Guardia Florestale, mancano i Marines meno male. Ma di fronte a questo strazio ce ne sono altri: le prefetture, la Corte dei conti, l’Avvocatura dello Stato, il Consiglio di Stato e ce n’è per scrivere il libro summa cum laude, perché neanche il principe dei ragionieri saprebbe come affrontare cotanta matassa di nequizie e porcherie sedimentata dal tempo e dall’accondiscendenza della politica ma anche e duole dirlo dai media e dalla pubblica opinione. Il vero interrogativo rimane se continuare ad accettare la pochezza di chi governa, che pure mostra enormi attributi ma solo per un momento e poi si adegua all’andazzo perché tutti abbiamo famiglia e 80 euro lordi in più al mese fanno la differenza in una famiglia se mangiare carne 4 volte al mese o fare il pieno all’auto (fame e mobilità non sono una semplice sensazione termica) e il 10% di taglio alle tasse delle imprese è una medicina omeopatica perché ci vorrebbe il triplo, non che ti do con una mano e con l’altra ti prendo per i fondelli.
Nella costanza degli ultimi 65 anni l’Italia è una nazione sovrana piena di faceti simbolici aforismi, primo fra tutti che i debiti vecchi non si pagano e quelli nuovi si lasciano invecchiare, che si recuperano i denari illeciti delle organizzazioni criminali e anche quelli dell’evasione fiscale, pertanto visto il clima al contorno il suggerimento a Renzi ammesso che passi indenne gli ostacoli delle riforme costituzionali – tra cui quella del Senato di cui non gliene frega niente a nessuno se non ai diretti interessati – è che il paese si trova a un bivio fra la stagnazione e una stagflazione. Probabilmente sarebbe preferibile un poco di inflazione tipo 5 o 6%, reale e concreta panacea se migliora il potere di acquisto piuttosto che un impasse recessivo dal quale difficilmente ci si risolleva rapidamente, tenuto conto del contesto globale che tutto fa tranne che aiutare i bisognosi, di una classe imprenditoriale abituata da sempre ai sussidi di Stato e a un sistema bancario al collasso che non presta soldi perché non ne ha e i pochi solo agli amici degli amici che poi ovviamente sono quelli che non li ridanno.
Il vero tema non è solo riformare la Costituzione, oramai leggermente desueta nei termini e nel linguaggio come ad esempio che l’Italia è un paese fondato sul lavoro – quella Usa inizia con “We the People”, 7 articoli e quantità di emendamenti aggiornati alle realtà – bensì convicere l’establishment a posizioni nette e irrevocabili, proprio come fece a suo tempo il premier laburista inglese Clement Attlee. L’Italia è entrata nel G7 senza merito ma solo per opportunistica convenienza e il conto da saldare è peggiore rispetto a uno qualunque dei Brics in default.
Allora se si pensasse realmente ed esclusivamente al bene del proprio paese servirebbe un quantum leap e senza tanti giri di parole a un General Appreciation Bond o meglio detto alla vecchia maniera uno Zero Coupon Bond a trent’anni, che si posta come frazionale debito pluriennale ma senza interessi correnti e restituzione totale alla scadenza, esentasse, trattabile in qualunque mercato obbligazionario e backed con qualunque asset dello Stato e viste le prossime elezioni europee il momento è quello buono per fare una volta tanto qualcosa di “strano” a favore e non contro.
La formula base è semplice: VF=PV(1+i)*n, dove VF= valore futuro (generalmente è 100), VP= valore presente o del mercato, 1 il capitale che si vuole raccogliere, i= interessi annuali del periodo prescelto, n= periodo, *= elevato alla potenza desiderata rispetto agli interessi postergati che si vogliono pagare e chiunque dei tecnici soloni al ministero dell’Economia può verificarla e magari anche migliorarla. Ovviamente per ricavare 100 miliardi di euro puliti in tasca l’emissione deve essere di gran lunga maggiore ma non importa perché il raggiungimento di una massa d’urto critica, fresca e necessaria a provare a rilanciare economia, consumi e ridurre le tasse per tutti, senza stare a mettere all’incasso cambiali e assegni postdatati di dubbia solvibilità, è più importante di qualunque minaccia dell’Unione Europea. Sicuramente entusiasti i mercati con buona pace della Germania, laddove è meglio fare gli interessi dei cittadini italiani piuttosto di quelli tedeschi.
L’Italia è una nazione rara, dai fasti splendori dell’Impero Romano all’enorme disagio sociale interno di gente che dopo decenni di lavoro si riteneva benestante e invece si ritrova miserabile e migratorio per i poveri del mondo che pensano sia un paese ricco, ma tutto quello che non la uccide la rende fuori dagli schemi. “Batte il cuore in petto anche a un insetto” rivolto ai più frastornati e disequilibrati leader politici, perché le elezioni europee del 25 di maggio non porteranno a niente di buono se non a mandare gente senza scrupoli in un posto inutile per non decidere niente e tutto a spese del contribuente.
Serve una ferma e decisa epurazione morale e non militare da parte del popolo per terminare tutto quel che resta del giorno, nella speranza di un’alba senza nebbie, magari con un poco di accettabile serenità.
Here come bad news talking this and that,
give me all you got, and don’t hold it back,
I should probably warn you I’ll be just fine,
here’s why, because I’m happy and happiness is the truth”.
* no offense to you, don’t waste your time