Fonte: http://andreacarancini.blogspot.co.uk/
QUASI IL 90 PERCENTO DEI TEDESCHI NON CREDE ALLA FROTTOLA UFFICIALE DELL’11 SETTEMBRE[1]
[6] http://www.prisonplanet.com/articles/may2006/230506Zogby.htm
Fonte: http://andreacarancini.blogspot.co.uk/
QUASI IL 90 PERCENTO DEI TEDESCHI NON CREDE ALLA FROTTOLA UFFICIALE DELL’11 SETTEMBRE[1]
[6] http://www.prisonplanet.com/articles/may2006/230506Zogby.htm
Fonte: http://guide.supereva.it/
Le apparizioni della Madonna a Fatima, insieme a quelle di Lourdes, sono tra le più famose apparizioni mariane al mondo.
Fátima è una località portoghese di circa 10.000 abitanti, a un centinaio di chilometri da Lisbona. In un pascolo vicino a questa cittadina, in località Cova da Iria (Conca di Iria), il 13 maggio 1917, una “donna vestita tutta di bianco con in mano un rosario” apparve su una nube a tre pastorelli: Lucia, Giacinta e Francesco.
Lucia era la cugina di Giacinta e Francesco ed era anche la più grande, avendo già 10 anni. Giacinta aveva 7 anni e Francesco 9.
Dopo questa prima apparizione il 13 maggio, la “donna di bianco vestita” avrebbe dato appuntamento ai bambini per il 13 del mese successivo, e così via per altri 5 incontri, fino al 13 ottobre successivo.
Legate alle apparizioni e ai “messaggi”, sono anche i cosiddetti “tre segreti di Fatima“, che tanto hanno suscitato la curiosità e la fantasia dell’opinione pubblica. Si tratta di riferimenti ad eventi futuri, accompagnati sempre da inviti calorosi e pressanti alla preghiera e alla conversione. Il testo dei tre segreti è ormai stato completamente reso pubblico. I riferimenti agli eventi futuri sono stati interpretati come:
1. la fine della prima guerra mondiale a breve e il pericolo di una seconda guerra ancora più devastante se gli uomini non si fossero convertiti,
2. la minaccia comunista proveniente dalla Russia, debellabile solo mediante la Consacrazione di tutta la nazione al Cuore Immacolato di Maria.
Sul cosiddetto “terzo segreto“, tenuto “riservato” e per lungo tempo conosciuto soltanto da Lucia (la veggente che è vissuta più a lungo) e dal Papa, si è tanto discusso e tanto fantasticato. Nel 2000 Papa Giovanni Paolo II, attraverso il Cardinale Sodano e il Cardinale Ratzinger rese pubblico il testo del segreto. Questa la dichiarazione ufficiale della Santa Sede, che riporta la parte della memoria della veggente Lucia che non era ancora stata pubblicata:
«Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio.»
Giovanni Paolo II ha sempre visto in questa visione l’immagine dell’attentato che egli subì in Piazza San Pietro proprio il 13 maggio (giorno della prima apparizione) del 1981, quando “cadde” ferito sotto “vari colpi di arma da fuoco” sparati da Alì Agca. Grande fu sempre la devozione di Giovanni Paolo II alla Madonna di Fatima, tanto da fare incastonare il proiettile dell’attentato nella corona della statua della Madonna a Fatima.
Un altro aspetto rilevante e celebre delle apparizioni di Fatima riguarda il cosiddetto “miracolo del sole“.
A conferma della promessa fatta ai tre pastorelli dalla Madonna riguardo a un evento prodigioso, il 13 ottobre 1917 molte migliaia di persone, credenti e non credenti, riferirono di aver assistito ad un fenomeno inspiegabile e prodigioso. Molti dei presenti, anche a distanza di parecchi chilometri, raccontarono che, mentre pioveva e spesse nubi ricoprivano il cielo, d’un tratto la pioggia cessò e le nuvole si diradarono: il sole, tornato visibile, avrebbe cominciato a roteare su sé stesso, divenendo multicolore e ingrandendosi, come se stesse precipitando sulla terra.
Il fenomeno fu visto anche da numerosi osservatori increduli, scettici ed anticlericali, accorsi in gran numero e convinti di assistere finalmente al definitivo smascheramento dei tre pastorelli. Tra questi, viene spesso citata la testimonianza di Avelino de Almeida, direttore del giornale “O Seculo”, il più diffuso e autorevole quotidiano del tempo, di stampo dichiaratamente liberale ed anticlericale. Nel suo articolo, pubblicato il 15 ottobre 1917, de Almeida scrisse:
“Dalla strada, dove i carri erano tutti raggruppati e dove stavano centinaia di persone che non avevano il coraggio sufficiente per attraversare il terreno reso fangoso dalla pioggia, vedemmo l’immensa folla girarsi verso il sole che apparve al suo zenit, chiaro tra le nuvole. Sembrava un disco d’argento, ed era possibile guardarlo senza problemi. Non bruciava gli occhi, non li accecava. Come se vi fosse stata un eclisse. Poi si udì un urlo fragoroso, e la gente più vicina cominciò a gridare – Miracolo, miracolo! Meraviglia, meraviglia! – Davanti agli occhi estasiati delle persone, il cui comportamento ci riportava ai tempi della Bibbia e le quali ora contemplavano il cielo limpido, sbalordite e a testa scoperta, il sole tremò, compì degli strani e bruschi movimenti, al di fuori di qualsiasi logica scientifica, – il sole «danzò» – secondo la tipica espressione dei contadini”
Innumerevoli sono le testimonianze e le descrizioni dell’evento rese da medici, studiosi, fedeli di ogni condizione culturale e sociale. Tutte le testimonianze sono concordi sull’intensità e sull’inspiegabilità del prodigio.
I due fratelli Francesco e Giacinta morirono pochi anni dopo, rispettivamente nel 1919 e nel 1920, a causa dell’epidemia di “spagnola” e sono attualmente sepolti nel Santuario edificato sul luogo dell’apparizione. Lucia entrò in convento, facendosi monaca carmelitana di clausura e morì il 13 febbraio 2005. Lucia mise per iscritto le sue Memorie raccontando gli eventi accaduti a Fatima, così come lei stessa li aveva visti e vissuti.
La Chiesa Cattolica proclamò ufficialmente nel 1930 il carattere soprannaturale delle apparizioni e ne autorizzò il culto.
Il primo Papa a recarsi in pellegrinaggio a Fatima fu Paolo VI il 13 maggio 1967 (subì anche lui un attentato). Giovanni Paolo II si recò più volte a Fatima, in forza del particolare legame personale. Anche Benedetto XVI il 13 maggio 2010 si è recato in visita a Fatima.
Scritto da: Gianmarco Calore
Fonte: http://www.polizianellastoria.it
Foto: libro fotografico di Pasquale Chessa
Cosa succede all’uomo quando perde il senso della realtà? Quali possono essere i percorsi che portano la sua mente a calpestare qualsiasi senso di dignità, di rispetto, di onore? Sono domande molto profonde che forse un unico filosofo del passato ha saputo riprendere da una frase latina del commediografo Plauto e aggiornarla ai tempi moderni: homo homini lupus, l’uomo è un lupo per un altro uomo. In sintesi, Thomas Hobbes voleva dire che il consorzio civile regge le proprie basi solo sul timore reciproco.
Questo concetto fu ripreso in tempi recentissimi dall’esercito nazifascista. E applicato benissimo. Si può dire alla lettera.
Altopiano di Asiago, zona dei Sette Comuni Vicentini, aprile 1945.
Siamo nel cuore della Repubblica Sociale Italiana, una realtà che i monarchici (e non solo) videro come golpista e che resse il nord Italia subito dopo l’armistizio dell’Otto settembre 1943. Quasi due anni che però in queste zone ebbero un impatto molto più duraturo. Asiago, Lusiana, Enego, Gallio, Foza, Rotzo, Roana e gli agglomerati urbani limitrofi sono nomi che ai più indicano solo località turistiche della pedemontana veneta. Furono in realtà molto di più, addirittura per alcuni storici una delle prime federazioni autonome che caratterizzarono il Veneto anche sotto il profilo linguistico, con l’adozione del cimbro come lingua ufficiale. Questa zona già nel recentissimo passato aveva versato uno dei più grossi tributi di sangue quando nella Prima Guerra Mondiale il fronte correva proprio lungo quelle montagne: migliaia di giovani mandati al massacro in quella che fu tuttavia definita una “guerra di posizione”, una guerra condotta esclusivamente in trincea rispettando in linea di massima quel codice d’onore che caratterizzava gli eserciti contrapposti. Beninteso, non che di porcate non ne siano state commesse anche allora…. Ma era tutta un’altra storia in cui spesso i prigionieri di guerra venivano rispettati al pari delle popolazioni sottomesse. I cannoneggiamenti austriaci avevano raso al suolo paesi che ancora oggi portano i segni (volutamente conservati) di una devastazione affidata alla memoria dei Vecchi e alle foto dell’epoca: la piazza di Asiago ridotta a un cumulo di macerie in cui svetta miracolosamente illesa la statua della Madonna… Gallio attraversata da carri ricolmi di gente e masserizie gettate alla rinfusa alla ricerca di salvezza…. Enego, con il primo grande ospedale da campo, una tendopoli grigio-verde con gigantesche croci rosse su sfondo bianco che il nemico rispettava come fosse una chiesa. Ma anche stalle disintegrate, con i pochi animali superstiti che vagavano senza meta tra carogne di loro simili… malghe abbandonate con i tetti sfondati e le finestre a pezzi…. un prete che porta conforto…. Era la guerra: e la gente del posto la accettava con muta rassegnazione e con le maniche rimboccate per bonificare i boschi da alberi schiantati e da bombe inesplose, per rimettere in piedi uno straccio di casa, per ricostruirsi un futuro.
Ma nell’aprile del 1945, di che guerra vogliamo parlare? A voler essere precisi la guerra in senso stretto era già finita l’Otto settembre di due anni prima con la firma di Badoglio in calce all’armistizio che, se almeno formalmente chiudeva le ostilità ufficiali, avrebbe dato il via alla più cruenta e assurda guerra civile che mai nessun governo avrebbe potuto controllare. Dal Nove settembre 1943 il fiero alleato germanico si trovò in un’Italia nemica: i camerati che il giorno prima avevano gozzovigliato, combattuto, fraternizzato fianco a fianco improvvisamente divennero un reciproco bersaglio contro cui sparare. Ma non per legge di conquista: solo per rappresaglia. E in rappresaglia non si guarda in faccia a nessuno: in questo l’esercito nazista dette il meglio di sé, trascinando in una galleria degli orrori anche la popolazione civile che poco o nulla c’entrava in manovre politiche che con ogni evidenza nemmeno capiva.
Quando la mattina del Nove Settembre 1943 a Valdagno fece la propria comparsa la prima autocolonna militare proveniente da Roma, la gente del posto credeva fossero arrivati addirittura gli Alleati. E invece questi parlavano un italiano fluente, magari corrotto dagli accenti delle varie regioni. E poi sulle uniformi c’era pur sempre quel Fascio Littorio che tutti conoscevano bene. Vennero requisiti gli stabilimenti industriali della Lanerossi e della Marzotto in cui questi fascisti costituirono la loro base: alla gente fu spiegato che il Duce, liberato dalla sua prigionia dorata a Campo Imperatore, era stato posto da Hitler al comando di una sorta di “testa di ponte” che avrebbe dovuto costituire un cuscinetto tra il Reich e l’avanzata degli Alleati. Questa testa di ponte fu chiamata Repubblica Sociale Italiana: uno Stato nello Stato con proprie leggi, proprio organico civile e militare, un proprio statuto. Ma soprattutto, ancora alleato alla Germania nazista. La gente non capì subito il significato di questa posizione: per molti fu addirittura la soluzione ideale per mantenere la zona tranquilla e scevra da combattimenti e rappresaglie la cui eco era già giunta anche tra quelle montagne. Costoro aderirono quindi di buon grado alla RSI credendosi finalmente al sicuro. Molti altri invece capirono fin da subito che da quel governo fantoccio non ci si sarebbe dovuti aspettare niente di buono, anzi…. Primo, perche gli Alleati (la cui avanzata si era momentaneamente fermata sulla linea di Roma) sarebbero comunque prima o poi arrivati; secondo, perchè i nazisti presenti sul posto avevano cominciato a comportarsi da padroni e non da alleati; terzo, perchè la gente aveva in ogni caso iniziato a sparire…..
In questo contesto sconclusionato troviamo un Poliziotto italiano. Si chiama Anselmo Dal Zotto: di lui non sappiamo nulla, nemmeno l’età; sappiamo solo essere un appartenente alla Polizia Repubblicana, una guardia assegnata alla questura di Vicenza. Del suo arruolamento nessuno sa niente, ma non doveva suonare strano in un’epoca in cui anche la Polizia era costretta ad arruolare nuovo personale su base strettamente locale. Per la Polizia Repubblicana poi, figurarsi…. un organo istituzionale dalla vita brevissima e dalla burocrazia quasi inesistente: sono convinto che il fascicolo matricolare del giovane sia andato perduto o distrutto assieme alla sua storia.
Il suo nome tuttavia salta fuori in un elenco di persone fucilate sommariamente dai nazisti in ritirata in uno dei tanti, troppi eccidi insensati da loro compiuti mentre cercavano la salvezza al di là delle Alpi, incalzati dall’esercito alleato che ormai aveva liberato quasi tutto il nord Italia. L’eccidio di Pedescala.
Per capire cosa accadde esattamente in quei giorni tormentati non è bastato affidarmi ai libri (dopo avere ovviamente gettato alle fiamme quelli più di parte). L’estate scorsa mi trovavo in ferie a Enego che da Pedescala dista un tiro di schioppo….. mah, esempio infelice: meglio dire che è poco distante, parlare di schioppi in tale contesto fa strano…. Una piccola e intenzionale deviazione con una scusa a moglie e bimba mi ha portato in un paesotto tranquillo, tipico dell’altopiano. Ho girato un po’ a piedi, annusando l’aria che tirava: e quale miglior posto se non una delle osterie di paese dove trovare qualcuno con cui parlare? Due anziani, i classici nonnetti che “battono carta” di fronte a un bianchetto, eccoli là! Ed ecco cosa è venuto fuori su quei fatti.
Altopiano di Asiago, 24 aprile 1945. Mattinata soleggiata resa ancora più frizzante dalla imminente Liberazione: la gente di montagna tuttavia è ancora impaurita. Non c’è più nessuno Stato, la RSI esiste formalmente ma i suoi organi istituzionali sono allo sbando: chi ha cercato rifugio all’estero, chi è stato già passato per le armi, chi è semplicemente scomparso. Non ci sono più ordini da eseguire, gli ormai ex fascisti stanno cercando di mettere in salvo se stessi e i propri familiari. Le strade della Valsugana, ma soprattutto i viottoli di montagna, di notte sono più trafficati di una moderna autostrada a Ferragosto. Macchine a fari spenti, carretti e cavalli, gente a piedi con valige e cartoni: tutti alla ricerca di una via di fuga, tutti con la paura di cadere in uno dei tanti posti di blocco. E non importa di che natura essi siano, se partigiani o di qualche pattuglia nazista: qui prima si spara e poi si fanno domande. Si spara così alacremente che molto spesso nella fretta nazisti uccidono altri nazisti, fascisti altri fascisti e partigiani altri partigiani…. Non c’è da scherzare.
Non esiste forse nemmeno più un esercito nazista. Hitler è probabilmente già morto, ma loro non lo sanno. Gli ufficiali non hanno più ordini da far eseguire ai propri uomini, ma solo tanto sangue agli occhi per una guerra persa miseramente quando fino all’anno prima sembrava che il Terzo Reich avrebbe dominato il mondo….
In assenza di ordini e con la rabbia nelle vene ecco l’uomo diventare lupo per l’altro uomo.
Quella mattina di fine aprile un commando partigiano della Brigata “Sette Comuni” attacca un convoglio nazista in ritirata: una delle tante scaramucce che lascia sul terreno alcuni tedeschi morti, altri male in arnese. Ma che consente ai partigiani di fuggire con due camion, chi dice di viveri, chi invece di munizioni. I superstiti germanici si aggregano spontaneamente a un battaglione di stanza poco lontano: è un grosso nucleo, un battaglione Waffen SS comandato da un giovane ufficiale, il capitano Wasmuth. Prova a dire Wasmuth a Pedescala, poi vedi cosa succede ancora oggi….
L’ufficiale è probabilmente uno dei tanti invasati nazisti tutti d’un pezzo: vedere i suoi uomini arrivare con le corna rotte urta il suo orgoglio teutonico. Probabilmente ricorda uno dei tanti discorsi-fiume del suo Fuhrer sulla superiorità della razza tedesca e sull’invincibilità delle sue armate. Sta di fatto che il giorno dopo piomba in paese con tutti i suoi soldati, raduna la gente in piazza ed emette un proclamo: avete tre giorni di tempo per consegnarci i responsabili dell’agguato, poi uccideremo dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Probabilmente la gente si è guardata sbigottita…. ma non erano finite tutte ‘ste ca**ate? Non era finita, la guerra? Alla radio avevano detto che ogni atto di guerra e di rappresaglia sarebbe dovuto cessare immediatamente…. E questo mangiapatate cosa dice? Dieci italiani per ogni tedesco ucciso…. Non si sa cosa si dissero i Pedescalesi in quei tre giorni: forse credettero a uno scherzo, più probabilmente cercarono di temporeggiare in attesa di questi alleati che si diceva essere ormai di là del fosso…. In ogni caso alla scadenza dell’ultimatum nessun civile, partigiano o semplicemente italiano viene consegnato nelle mani di Wasmuth.
Dal 27 aprile (e per i tre giorni successivi) iniziarono fucilazioni sommarie ovunque: in paese, nella piazza; dietro il cimitero; nei boschi… La furia nazista non ha più freni, Wasmuth fa arrivare in zona altri battaglioni di connazionali. Sono i paracadutisti tedeschi della 1° Fallschirmjäger Division (reparto della Wehrmacht), provenienti da Schio (VI), chiamati anche “Grune Teufel” (“Diavoli Verdi”) che avevano resistito a Montecassino; i militari russo-ucraini del 232° Ostbataillon della Wehrmacht con a capo il capitano Fritz Büschmeyer; generici reparti tedeschi della Wehrmacht; volontari italiani della XXII° Brigata Nera “Antonio Faggion” dell’Ispettorato delle Camicie Nere del Veneto e del Corpo Ausiliario delle Squadre d’Azione delle Camicie Nere, ultimi pazzi che ancora credevano nella rinascita dell’impero. E siccome Pedescala non basta più, si va a prendere la gente anche nelle frazioni limitrofe: Forni e Settecà. Venivi fermato per strada, magari con in mano la gamella del latte e lì venivi fucilato. Punto e basta. “Era come sparare alle lepri”, mi disse uno dei due anziani. Alla fine di questa pazzia si contarono 64 morti, tra i quali lo stesso parroco di Pedescala e addirittura un bambino di 5 anni. Il lupo si era saziato e graziò sei persone.
Tra questi 64 martiri della follia umana troviamo anche lui, la guardia di P.S. Anselmo Dal Zotto. I due anziani dell’osteria non si ricordano di lui, ma qui da queste parti Dal Zotto è uno dei cognomi più diffusi tanto che le singole famiglie si conoscevano più per soprannome. E quindi non possiamo che supporre che il militare, compresa la disfatta imminente del regime che gli aveva dato lavoro, avesse raggiunto la propria famiglia in paese magari disertando, tanto chi controllava più? Chi poi meglio di lui poteva essere a conoscenza dell’arrivo ormai prossimo degli anglo-americani? Bologna era libera, da ultime anche Piacenza e Mantova mentre i principali capoluoghi del Nord erano ormai controllati dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalla sua Polizia Ausiliaria. Ormai presto in paese la gente avrebbe masticato la gomma americana…. E forse una simile fiducia in un roseo futuro non gli fece capire che sarebbe stato meglio aggregarsi con armi e bagagli a una di quelle tante colonne di fuggiaschi che di notte attraversavano boschi e vallate verso le città libere, magari Padova o addirittura Ferrara. Si dice che Dal Zotto sia stato fucilato il 3 maggio: questa in realtà è la data di rinvenimento del suo cadavere crivellato da colpi di machine pistol. Di sicuro la sua morte avvenne tra il 27 e il 30 aprile 1945.
Poche, scarne notizie inquadrate in un avvenimento di cui ancora oggi si parla poco. Non sono nemmeno riuscito a sapere se magari Anselmo aveva aderito a qualche formazione partigiana: anche qui il suo nome non compare in nessun elenco. E solo UN libro tra i tanti che parlano di Pedescala lega il nome di questo ragazzo alla sua professione: guardia di Pubblica Sicurezza della Polizia Repubblicana, sede di servizio questura di Vicenza.
Ecco tutto. Mi piacerebbe tanto che questo piccolo ricordo venisse letto magari da qualche lontano suo parente. O da qualcuno comunque in grado di darci notizie maggiori: sarebbe il miglior modo di rendergli giustizia.
Fonte: http://www.soloecologia.it/08052012/auto-elettriche-con-il-nuovo-standard-j1772-ricariche-in-15-20-minuti/
Scritto da : Nicoletta
Lo standard J1772 per la ricarica delle auto elettriche esiste da alcuni anni, ma ora è concreta la possibilità di estenderne la capacità voltaggi e amperaggi superiori, che renderanno la ricarica dei veicoli elettrici assai più veloce. Questo significa anche che la “spina” diventerà più grande e dall’aspetto inquietante, ma ricordiamolo: infinitamente più ecologica e comunque più piccola di una tradizionale pompa per la benzina o il gasolio.
Il nuovo standard è supportato dai modelli Audi, BMW, Chrysler, Daimler, Ford, General Motors, Porsche e Volkswagen: nomi importanti che aumentano le possibilità di una sua adozione a livello globale. Il principale beneficio delle nuove prese è quello della flessibilità: il sistema di ricarica combina in sé la possibilità di ricaricare da reti a corrente alternata sia monofase che trifase, nonché dalle reti domestiche a corrente continua e delle stazioni pubbliche con sistema di ricarica ultraveloce in corrente continua.
Il sistema riesce a sopportare tensioni fino a 500 volt e intensità fino a 200 ampere (ovviamente valori così alti non sono presenti presso abitazioni private, ma solo nelle stazioni di ricarica rapida). Questo significa che un veicolo elettrico compatibile potrebbe ricaricarsi in soli 15-20 minuti.
I primi veicoli che adotteranno lo standard J1772 sono attesi per il 2013.
Fonte: http://www.radicicristiane.it/l
Renzo Agasso- Domenico Agasso jr – San Paolo, Milano 2008, pp. 240, € 18,50
«Uccisi due volte. Dal piombo prima e dal silenzio poi. Sono le vittime del terrorismo italiano: 365 morti. Caduti di una guerra dichiarata da una sola parte. Rischiano di venir ammazzati una terza volta: dall’arroganza degli assassini e dall’oblio dei giusti». In un Paese “dalla memoria corta e dall’etica tascabile”, dove un qualsiasi mascalzone viene riabilitato e incensato e i “giusti” dimenticano in fretta (probabilmente non ricordiamo già più i vergognosi casi degli ex terroristi assunti e lautamente pagati dal secondo governo Prodi o quello della brigatista Silvia Baraldini, estradata dagli Stati Uniti – dove stava in carcere, non era consulente di qualche ministero come Toni Negri o Cesare Battisti – accolta all’aeroporto come un Capo di Stato, salvo poi essere immediatamente affidata agli arresti domiciliari e quindi assegnata ad un ben stipendiato lavoro part-time per il Comune di Roma), questo libro, che ricostruisce brevemente la vita e la tragica morte di 170 vittime, viene a ridestare la memoria del nostro passato recente.
Biografie sintetiche, ma non fredde schede, in cui a nomi dimenticati o mai conosciuti si restituiscono la concretezza di un lavoro, di una famiglia lasciata nel lutto, di una vita stroncata ingiustamente. A queste brevi storie vanno aggiunti i nomi, almeno i nomi – tutti rigorosamente riportati – delle vittime delle cosiddette “stragi di Stato”: sono i 17 morti di piazza Fontana, i 6 del treno “Freccia del Sud”, i 12 dell’“Italicus”, gli 8 di Piazza della Loggia, gli 85 di Bologna e i 17 del “treno di Natale” (tutti e 145, forse un po’ precipitosamente, attribuiti al terrorismo di destra), uccisi non per un motivo ideologico, ma solo perché si trovavano casualmente al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Dopo una mirabile introduzione in cui viene sottolineata la vergogna dell’oblio che permette non solo agli ex terroristi di godere di posizioni di privilegio, ma anche ai loro “compagni di merende” – primi fra tutti quelli del folto gruppo di “Lotta Continua”, da Erri De Luca (caro a tanti cattolici “ingenui”) a Gad Lerner – di spadroneggiare sui mass-media, i due Agasso, padre e figlio, entrambi giornalisti e saggisti, rievocano in senso cronologico i terribili anni di piombo.
Ma perché tanta fretta di dimenticare le vittime e di perdonare gli assassini? Probabilmente, suggeriscono gli autori sulla scorta delle riflessioni di Cossiga, perché le BR erano gli eredi della Resistenza, erano il braccio armato del movimento comunista che, a livello parlamentare, non riusciva a prendere il potere. Non nemici del PCI, ma solo l’altra faccia della medaglia. Questo libro meriterebbe un seguito che fornisca le veloci biografie non delle vittime, ma dei carnefici. Così sapremmo chi di loro ha fatto carriera, chi scrive sui giornali, chi siede in Parlamento e chi appare in televisione, magari a discettare di calcio, come se niente fosse stato.
Scritto da: Salem
Fonte: http://www.nibiru2012.it
Nell’afosa estate del 2011 sul sito di intrattenimento hollywoodiano The Wrap, un articolo di Steve Pond getta una ventata di aria fresca e piena di speranza per tutti gli interessati all’argomento “Maya e il 2012”: il governo messicano ha deciso di rivelare al mondo documenti shoccanti riguardo il popolo Maya, tenuti segreti per oltre 80 anni.
Ma come mai proprio adesso, proprio a ridosso della fatidica data? Su questo ci torneremo in seguito. (Foto:L’attore Raul Julia-Levy)
La persona che ha fatto questo grande annuncio è l’attore messicano Raul Julia-Levy, figlio del famoso attore scomparso Raul Julia (il Gomez de “La Famiglia Addams”, il Mr. Bison di “Street Fighter”, NdA) il quale sarà uno dei produttori di un documentario in questione, “Revelations of the Mayans 2012 and Beyond” nel quale si dice verrano esposte le prove inconfutabili che il popolo Maya ha avuto contatti con gli extraterrestri. Raul Julia-Levy dice di essere venuto a conoscenza di queste informazioni dall’ex-presidente del Messico, Vicente Fox, un amico di famiglia, e che gli ci son voluti quattro anni di telefonate per avere l’OK finale dall’attuale presidente Felipe Calderon. Con lui, il ministro del turismo messicano per lo stato di Campeche, Luis Augusto Garcia Rosado afferma “I Maya erano soliti costruire una piramide sull’altra; nel sito di Calakmul gli operai dell’istituto nazionale di antropologia e storia hanno trovato nella piramide delle camere mai scoperte prima”.
Con il passare dei mesi, anche lo stato del Guatemala si è unito al progetto, dandogli sempre più forma e conferme che c’è molta carne al fuoco. “Il Guatemala, come il resto del Messico patria della civiltà Maya, ha tenuto nascoste per anni alcune scoperte archeologiche “scomode”, e che ora è arrivato il momento di renderle pubbliche con questo documentario” dice il ministro del turismo guatemalteco Guillermo Novelli Quezada.
Ok, fin qui tutto molto interessante, l’alone di misticismo cresce, le varie interviste di Julia-Levy sul web continuano a fare hype ma nulla di più, solo parole… Ma le prove? Un qualcosa che possa dissetare la sete di sapere di migliaia di persone nel mondo? Ma certo, per tenere vivo l’interesse e sviare quelle voci di un “fake” che sempre di più si propagano nel web, ecco che il buon Raul pubblica una foto che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) dipanare ogni dubbio sulla veridicità della faccenda: una fotografia scattata nel sud del Guatemala nel 1930. Questa foto ritrae un monumento di un volto scavato nella roccia, nascosto nella giungla. Uno degli archeologi che collabora al documentario, Hector E. Mejida sostiene: “Questo busto, a prima vista dal cranio allungato, pare avere delle caratteristiche fisionomiche che non corrispondono a nessun popolo pre-ispanico vissuto in America centrale, e lo si potrebbe datare intorno al 3500 – 5000 avanti Cristo; misura 17 metri in altezza e 6 in larghezza, ma non si trova più in Guatemala, in quanto dopo la scoperta è stata trasportata e nascosta negli Stati Uniti”.
Questa è solamente una delle tante foto che Julia-Levy userà per il suo documentario; sulla sua origine, l’attore dice solamente che questa foto è stata pubblicata su un giornale locale alla fine degli anni ’30, le cui copie sono state subito ritirate dalla circolazione dal governo britannico.
(Foto: Il monumento ritrovato in Guatemala)
Come se non bastasse, Julia-Levy cala l’asso di bastoni, affermando che una delle menti più illustri di questo secolo ha intenzione di collaborare al documentario, nientepopodimeno ché Stephen Hawking (noto matematico, fisico e cosmologo, una di quelle figure che quando pensi alla scienza il suo nome è quello che ti salta in mente, NdA) il quale avrebbe detto: “Avverto l’umanità che gli alieni sono là fuori; solo per il fatto che fossero amici dei Maya, non significa che siano anche amici nostri. Noi umani dovremmo evitare ogni contatto con loro ad ogni costo”. Sulla faccenda Stephen Hawking e la sua veridicità non ci sono conferme, in quanto una mail è stata spedita da The Wrap allo staff portavoce dello scienziato ma non si è ancora avuta risposta.
Passano i mesi, arriviamo alla fine di marzo del 2012; l’ormai auto definito Filmmaker Raul Julia-Levy è molto attivo sui vari social network, specialmente su Twitter dove poco alla volta snocciola informazioni sull’andamento del documentario; la preproduzione è stata molto lenta, ma le riprese iniziano finalmente il 5 di aprile. In un’intervista in particolare rilasciata ad una radio colombiana, Caracol Radio, Julia-Levy ci regala qualche informazione in più: una di queste scoperte archeologiche fatte nel Tempio delle Iscrizioni rivelerebbe un “friso” (che potremmo tradurre come fregio, NdA) di pietra, lungo 27 metri e alto 3, nel quale ci sarebbero raffigurati eventi molto trascendentali, compresa l’intera storia dell’uomo.
(Foto: Tempio delle Iscrizioni, Palenque)
Raul sostiene che la fine del calendario Maya non corrisponde alla fine del mondo così come ci è stata sempre raccontata, ma bensì la fine di un’era alla quale seguirà l’inizio di un’altra. Il suo scopo è quello di aiutare l’umanità ad un “risveglio delle coscienze”. Ma la sua più grande preoccupazione risiede negli antichi libri sacri del Consiglio Nazionale degli Anziani Maya del Guatemala, libri vecchi di 3750 anni mai rivelati al pubblico, nei quali si raffigura l’inizio del collasso della razza umana, che dovrebbe verificarsi nei prossimi 15 – 20 anni.
Possibile che tutte queste notizie di una pesantezza tale che se fossero vere potrebbero far riscrivere la storia dell’uomo, siano quasi pronte per essere rivelate al mondo? Possibile che i governi del mondo che, secondo i complottisti avrebbero tutti gli interessi a tenere allo scuro l’umanità, permettano lo sviluppo di questo documentario? No. Infatti non è (e non è stato) tutto rosa e fiori per Julia-Levy.
La realizzazione di questo progetto è stato un lungo parto: sono passati anni prima di radunare una squadra di archeologi e studiosi “fidati” interessati alla cosa; i continui rinvii della produzione non hanno facilitato le cose, soprattutto i tempi di produzione di History Channel, come lui stesso afferma, richiedono quattro mesi solo per la post-produzione. Vogliamo farci mancare anche furti dell’attrezzatura per le riprese? La tensione sale e i nervi saltano quando Raul si sfoga su Twitter per un furto di reperti importanti, il tutto riferito ad una donna che dice di rivendicarne il possesso; una causa legale in corso con questa figura potrebbe portare ulteriori ritardi, ma siamo fiduciosi.
All’inizio ci siamo posti una domanda: perché proprio adesso? Come mai siamo arrivati agli sgoccioli per un evento di tale portata?
Le malelingue diranno che è una mera questione di soldi, è solo speculazione per l’ennesimo film/documentario sul 2012… Beh, a sostegno di questa tesi c’è l’unica condizione posta dal governo messicano all’inizio di questa faccenda: il “film” (come veniva chiamato all’inizio, NdA) dovrà prima uscire nelle sale cinematografiche. Questo è quanto afferma Ed Elbert, co-produttore con Julia-Levy e Sheila M. McCarthy, il ché presume un certo ritorno economico per quanto riguarda l’incasso cinematografico e tutto il merchandising che ne conseguirà. Bella mossa da parte del governo messicano che assieme all’ufficio del turismo nazionale sta facendo una campagna pubblicitaria massiccia sfruttando i Maya.
Un altro punto a sfavore riguarda la presunta connotazione tra il romanzo che stava scrivendo anni fa Raul Julia-Levy “Chronicles of the Mayan Tunnel” e “Secrets of the Mayan time Machine” da cui sarebbe dovuto uscire anche un film in 3D con lui e Wesley Snipes come protagonisti; il caso ha voluto che Wesley Snipes sia finito in prigione per scontare una pena per evasione fiscale, e il progetto è stato abbandonato nell’estate del 2010, come Julia-Levy ha confermato.
Ormai viviamo in un era multimediale che ci ha abituato ad ogni cosa, il cinema e la televisione ci stanno bombardando di film, spot, serie TV che trattano di extraterrestri e catastrofi naturali e non, quasi come per dire “abituatevi, così quando ce l’avrete davanti sarete pronti ad accettarlo”; forse è un po’ questo il senso e lo spirito della crociata che sta portando avanti il buon vecchio Raul, un contemporaneo paladino della verità che vuole donare al mondo la conoscenza di cui tanto avrebbe bisogno per cambiare le cose.
E quindi? Si aspetta, naturalmente, è l’unica cosa che possiamo fare. Le riprese del documentario finiranno i primi di Maggio, poi ci saranno quattro mesi di post produzione e finalmente in autunno potremo vedere anche noi con i nostri occhi ciò che per secoli ci è stato precluso; oppure, nel caso tutto questo si rivelerà una grossa bufala, torneremo alla nostra vita di tutti i giorni, nulla sarà cambiato, vorrà dire che avremo scelto la pillola blu e che non ci interessava sapere quanto sia profonda la tana del Bianconiglio.
Scritto da: Piero La Porta
Fonte: http://www.italiaoggi.it/
Non se ne può più. La Francia ha un volto nuovo, Francois Hollande. Noi abbiamo Mario Monti che nel 1981 si inventò i buoni del tesoro a lungo termine (cioè il debito che ora ci strozza) mentre il suo maestro, Beniamino Andreatta, dava il la alla privatizzazione di Bankitalia.
Tutto in nome dell’indipendenza, ben inteso.
Così come, per l’indipendenza, la Bce è a Francoforte, indipendente da tutti i paesi Ue ma sotto l’ala di Berlino. I francesi hanno capito che l’asse Merkozy portava verso il IV Reich e hanno dato un calcio nel sedere al collaborazionista Sarkò. Per l’Italia che cosa cambia? Nulla, com’è evidente dal fatto che Mario Monti non si vergogna a collocare il compare Giuliano Amato (mille euro al giorno con tre pensioni) tra i consulenti incaricati di dare un taglio alle spese dello Stato, figuriamoci.
Di là dalle Alpi c’è un popolo che esercita la piena sovranità, di qua c’è una colonia, con un governo collaborazionista e un capo del governo con la triplice tessera di Goldman&Sachs, Trilaterale e Bilderberg. Anzi ne ha un’altra: quella di consigliere del trombato Sarkò. Non può dunque cambiare nulla per l’Italia dopo le elezioni francesi. Il saccheggio delle nostre ricchezze è già avvenuto e il declino rimane inarrestabile.
Oltre mille supermercati francesi sul territorio italiano, diffusi capillarmente, ma non in Toscana, Umbria ed Emilia Romagna, così non si disturbano le Coop. Da sinistra sono state favorite queste truppe di occupazione che esigono un balzello, meno appariscente ma non meno esoso di quello preteso nel Lombardo-Veneto dai reggimenti del maresciallo Radetzy. Giuliano Amato e Romano Prodi svendettero tutta l’industria di Stato. Oggi grazie alle codardie di Berlusconi e Bossi abbiamo perso la prelazione sulle estrazioni petrolifere in Libia, abbiamo ceduto l’Edison, mentre Finmeccanica traballa e persino Benetton si disfa delle manifatture a vantaggio degli spagnoli Zara. Si alzano i lamenti per il caro benzina, per voce degli stessi che plaudirono la caduta di Gheddafi e non tuttora non si accorgono della diffusione a macchia d’olio, su tutta la penisola, delle stazioni di servizio francesi, le quali, insieme ai supermercati, determinano il nostro corso di inflazione. Siamo una colonia e delle elezioni a Parigi non abbiamo di che rallegrarci sino al momento in cui non rigenereremo completamente la classe politica di qualunque indirizzo che sinora ha governato. Come? Non è affare del giornalismo indicarlo, ma negare che questa sia la strada è solo un’ulteriore follia.
Fonte: http://andreacarancini.blogspot.co.uk/
Le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia sono state, oltre che inutili, persino dannose perché hanno omesso come al solito di ricordare all’opinione pubblica le accorate disillusioni di alcuni dei più famosi eroi risorgimentali sull’esito del processo unitario. Ricordiamone solo alcune.
[7] Si possono citare in tal senso gli sceneggiati tratti dai romanzi Il mulino del Po, di Riccardo Bacchelli (prima e seconda serie), La signora Ava e Le terre del Sacramento, di Francesco Jovine, I vecchi e i giovani, di Luigi Pirandello e Adua, di Manlio Cancogni, oltre, naturalmente, a L’alfiere e a L’eredità della priora di Carlo Alianello..
Fonte: http://www.altrainformazione.it/wp/2012/05/08/inventato-un-telecomando-cerebrale/
Haier ha presentato all’IFA il prototipo di una tecnologia di riconoscimento delle onde celebrali che consente di cambiare canale e regolare il volume della TV con la forza del pensiero. Mindwave è il nome della particolare cuffia deputata della conversione delle onde cerebrali in impulsi elettrici talmente precisi da consentire di imporre mentalmente alla TV di cambiare canale, di abbassare il volume, o di scegliere un film da una lista.
Haier Technology, in collaborazione con NeuroSky, ha presentato all’IFA di Berlino il prototipo di un prodotto che dovrebbe consentire il controllo remoto della televisione tramite onde celebrali. Insomma in un futuro prossimo non dovrebbe più essere un problema la perdita o la rottura del telecomando, perché per controllate la televisione basterà “usare la testa”. Il sistema è ancora in fase embrionale e la cuffia in plastica dura che è obbligatorio indossare sembra a prima vista poco confortevole.
Si differenzia da quelle audio per il braccio che circonda frontalmente il capo fino a posizionare il sensore a pressione ben saldo al centro della fronte. Un altro sensore, questa volta a molletta, deve essere agganciato al lobo dell’orecchio sinistro.
Con il sensore frontale e la molletta al lobo dell’orecchio la cuffia non sembra molto comoda da indossare.
Senza dubbio al momento questo accessorio rende il controllo mentale molto più scomodo di quello tradizionale via telecomando, ma l’unica dimostrazione attualmente disponibile impressiona: si tratta di un giochino in cui bisogna far esplodere un barile pieno di dinamite con la sola forza del pensiero. Il compito, stando ai giornalisti che hanno provato lademo all’IFA, non è così semplice perché richiede una combinazione di calma e concentrazione non indifferente.
Al momento non si conoscono né il prezzo né la possibile data di commercializzazione di questo prodotto, che sicuramente dovrà subire tutte le modifiche del caso, perché sarebbe eccessivo pensare che gli utenti consumer sarebbero disposti a indossare questo scomodo accessorio solo per cambiare canale.
Soprattutto in considerazione del fatto che oggi sono disponibili sistemi decisamente più efficienti e versatili che si basano sul movimento delle mani, come per esempio il Kinect di Microsoft che, giochi a parte, può essere utilizzato per controllare l’intera interfaccia di una TV compatibile con il sistema Haier, non solo per cambiare il canale e regolare il volume, ma anche per utilizzare applicazioni web e contenuti multimediali con semplici gesti.
NeuroSky non è nuova a queste idee: nel 2007 aveva presentato uno scenografico elmetto alla Darth Vader dietro cui si nascondevano i sensori a contatto con la fronte, e una “spada laser” che integrava un ricevitore wireless connesso all’elmetto (Le emozioni umane influenzano i videogiochi). Inutile dire che al momento non ha avuto il seguito sperato.
Scritto da: gennaro Malgieri
Fonte: http://www.loccidentale.it/node/115931
I popoli europei non vogliono essere presi a schiaffi dall’Europa dei burocrati, dei tecnocrati, dei banchieri. E reagiscono nell’unico modo possibile: votandole contro. Rifiutando le sue politiche fiscali, il pareggio di bilancio obbligatorio, la recessione inevitabile, l’austerità come fatalità, il rigore quale alibi degli Stati ricchi per affamare i più poveri. E si rivoltano contro l’idea stessa di unità continentale che non li vede cittadini attivi di una immensa comunità, ma sudditi rilevanti soltanto in quanto contribuenti.
I “buoni europei”, quelli maltrattati dai politici succubi della finanza, non vogliono che il precariato sia nel loro destino, che le identità a cui si sentono legati siano compresse, che l’età pensionabile venga prolungata nel tempo fino a non poter godere mai del dovuto mai soltanto perché classi politiche oggettivamente ladre si sono date da fare nel corso dei decenni passati per negarlo a chi ha lavorato una vita ed immaginava di aver maturato diritti inalienabili. Questi europei sono variamente colorati. Di destra e di sinistra, non ha nessuna importanza. Il discrimine è una certa idea dell’Europa che vorrebbero vedere rispettata. Si può stare con chiunque, ma non con chi utilizza la retorica europeista per calpestare valori fondamentali e bruciare aspettative legittime.
Alla Concorde come sotto il Partenone, sui canali di Amsterdam e dalle parti della Porta di Brandeburgo, ma anche a Roma e a Lisbona, passando per Madrid non è detto che l’incendio europeo non mandi in fumo quella che qualcuno, efficacemente, ha definito l’Unione sovietica europea.
L’Europa senz’anima è destinata ad una fine dolorosa. Lo sappiano coloro che sostengono che i mercati votano tutti i giorni, mentre i cittadini ogni quattro o cinque anni. La cinica definizione è di George Soros, se non ricordo male. E’ un peccato che abbia fatto breccia nelle menti di Sarkozy e di Merkel, di Samaras e di Venizelos, di Zapatero e di Rajoy. Ma anche di Monti e di coloro che ne assecondano le pulsioni mercatiste ispirate dalla Bce, dal Fmi, dal Wto, dalla Commissione europea, dal Consiglio europeo e dai tanti organismi che si sono presi la sovranità dei popoli e ne hanno fatto strame.
C’è bisogno di spiegare ancora perché il Vecchio Continente si sta ribellando?
Può non piacere Hollande e, francamente, non mi entusiasma neanche un po’ con il suo populismo raccattato dalla vecchia tradizione socialista, quella stessa che dopo il primo anno di presidenza, Mitterrand abbandonò per votarsi al realismo machiavellico, da “florentin” colto, raffinanto, incantatore di serpenti e di folle che interpretò la funzione del presidente-monarca con quel pathos della distanza proprio dei grandi statisti consapevoli del destino che incarnano, ma lo si attenda alla prova prima di buttare a mare le sue proposte anti-rigoriste.
Può essere contrastata Marine Le Pen, ma ciò che dice non deve piacere nel Sedicesimo arrondissement, dove se ne fottono dell’impoverimento del Paese, bensì compreso nella cintura operaia parigina, nelle banlieu della grandi città, nella Francia profonda e contadina e ovunque sta per esplodere una vera e propria guerra tra poveri. La sua idee di nazione non la si confonda, per favore, con lo sciovinismo nazionalista e non si demonizzino Ernest Renan, Ippolyte Taine e Charles Maurras, la cui continuità è nella destra nazionale francese, perfino sconfinante in quella gollista senza più padrini, ma soltanto popolata da orfani: la nazione è comunità di popolo e la bionda signora vorrebbe difenderla contro chi da ogni dove vuole appropriarsene per omologarla a quel pensiero unico su cui si fonda la finanza senza volto e senza patria.
I greci non sono un caso a parte e chi la pensa così, non ha capito nulla della devastante opera degli oligarchi socialisti e centristi che in due decenni li hanno resi, vendendoli alla Germania, schiavi di un’economia che non è la loro, non può essere la loro. Vogliono andare fuori dall’euro? Si accomodino, ma non gli si faccia pagare l’errore di averli voluti nel club della moneta unica loro malgrado. Sono altri che devono fare mea culpa, non chi ha votato per i “pericolosi estremisti” che fino a tre anni fa neppure esistevano sullo scenario politico ellenico.
Abbiamo bisogno delle nazioni. Il ché non vuol dire che non abbiamo bisogno, un maledetto bisogno di Europa. Ma di un’altra Europa che sappia armonizzare, nelle istituzioni e nella percezione della sua identità complessiva, le aspirazioni e le ambizioni e le culture dei popoli che la formano. La sovranità non è un’anticaglia da relegare del retrobottega dei ferrivecchi della politica: è la ragione di vita dei popoli. Umiliarla è pericolosissimo. Se ne rendano conto tutti coloro i quali immaginano di ridurre la politica in ragionieristici calcoli.
La Francia ha scelto, la Grecia pure. Ma la primavera europea è ancora di là da venire. Ci vorrà tempo. E pazienza. Ma anche coraggio. In Italia non se ne vede molto in giro, tanto per dire della nostra condizione di paria dell’Europa.