Il regno perduto di Vilcabamba

Scritto da:Yuri Leveratto
Fonte: www.yurileveratto.com/it

Quando i 168 uomini al comando di Pizarro giunsero a Cajamarca, nell’attuale Perú settentrionale, l’impero degli Incas era appena uscito da una sanguinosa guerra civile. Da una parte vi era stato Huascar e dall’altra Atahualpa. Quando quest’ultimo risultò vincitore le truppe che erano state fedeli a Huascar videro negli invasori una possibilità di riscatto nei confronti di Atahualpa, non rendendosi conto invece che il vero progetto degli stranieri era la conquista con ogni mezzo dell’intero Perú e delle sue ricchezze.
In seguito alla vile esecuzione di Atahualpa, nel 1532, Pizarro e i suoi uomini si trovavano però ancora di fronte ad innumerevoli pericoli, nel processo di conquista del Perú.
Per mantenere l’ordine e legittimare la presenza degli stranieri nel Perú, Pizarro decise di nominare un Sapa Inca, ovvero un nuovo sovrano, un fantoccio nelle mani del potere spagnolo.
Il primo Sapa Inca che fu nominato fu Toparpa, un fratello di Atahualpa, che però morì nella marcia della truppa spagnola verso il Cusco.
Il successivo Sapa Inca scelto da Pizarro fu Manco Inca, nel 1534.
Anche se probabilmente le intenzioni di Manco Inca furono quelle di ristabilire l’impero con l’aiuto degli Spagnoli, in realtà il Sapa Inca fu convertito in un burattino nelle mani degli invasori, che volevano mostrare alle masse che avevano rispetto delle tradizioni antiche, tanto da aver nominato un re cusquegno.
Inizialmente Manco Inca combatté insieme alle truppe di Diego de Almagro contro il generale Quisquis, che era stato fedele ad Atahualpa, e risultò vincitore.
Aveva così, a sua insaputa, fatto il gioco degli Spagnoli, che avevano il fine ultimo di dividere gli Incas tra di loro, in modo da trarne benefici e vantaggi.
Già nel 1536 però, il vero carattere di Manco Inca, che non fu mai sottomesso agli Spagnoli, iniziò a farsi vedere.
Gli invasori, avidi di ricchezze, continuavano ad esigere da Manco Inca informazioni sull’ubicazione del tesoro del Cusco, non essendosi accontentati del saccheggio del palazzo del Coricancha.Quando il Sapa Inca rifiutò di dare ulteriori informazioni agli spagnoli, fu tenuto prigioniero nel suo palazzo, ma in seguito, probabilmente capì che era meglio giocare d’astuzia. Promise ad Hernando Pizarro di portargli delle statue di oro massiccio e riuscì così a lasciare il Cusco. Si diresse a Yucay, dove riuscì a riorganizzarsi e armare un esercito con il fine ultimo di riconquistare il potere. Organizzò due spedizioni punitive: la prima contro alcuni popoli Huanca della valle del Rio Mantaro (affluente dell’Urubamba), e la seconda contro alcune tribù di etnia Lima (nelle vicinanze dell’attuale capitale), che avevano aiutato Pizarro nella conquista del Perú. Quindi progettò il rientro verso il Cusco, per assediare la sua capitale, che era controllata dagli Spagnoli. L’offensiva partì da Sacsayhuamán e durò molti mesi.
La successiva battaglia di Sacsayhuamán dove risultarono vittoriosi gli Spagnoli, indusse Manco Inca a ritirarsi nella remota valle dell’Urubamba, presso la fortezza conosciuta oggi come Vitcos Rosaspata, da dove organizzò la resistenza fino al 1544, anno della sua morte.
Vitcos Rosaspata fu per vari anni il quartier generale del cosiddetto regno di Vilcabamba. E’ una cittadella situata a metà strada tra la sierra e la selva che servì probabilmente per lungo tempo come centro d’intercambio tra i popoli andini e quelli della valle dell’Urubamba. Negli anni successivi gli Incas di Vilcabamba trasferirono la loro capitale nella remota cittadella di Hatun Wilca Pampa, situata presso il Rio Concevidayoc, conosciuta oggi come Vilcabamba la vieja, o Vilcabamba-Espiritu Pampa.
Dopo la morte di Manco Inca il potere cadde nelle mani del figlio Sairi Tupac, che iniziò a contrattare con gli spagnoli per ottenere proprietà nella valle dell’Urubamba. Sairi Tupac accettò di essere battezzato.
Il sucessore al trono di Vilcabamba fu Titu Cusi Yupanqui, che tornò ad assumere una posizione dura nei confronti degli invasori spagnoli. Nel 1568 permise comunque l’entrata nel regno di alcuni missionari e fu proprio durante uno scontro con alcuni di essi che risultò ferito ed in seguito morì.
La successiva rappresaglia degli Incas nei confronti di un religioso (Diego de Ortiz), portò gli Spagnoli a decidere di usare la mano dura nei confronti dei ribelli, per fare terra bruciata del regno di Vilcabamba, una volta per tutte.
Il comando a quel punto era già passato nelle mani di un giovane fratello di Titu Cusi Yupanqui, chiamato Tupac Amaru.
Il viceré Toledo inviò una spedizione militare a Vilcabamba, al comando di Martín García Óñez de Loyola.
Gli Spagnoli risultarono vittoriosi: le deboli difese degli Incas furono ancora una volta battute, la cittadella di Vitcos Rosaspata fu distrutta e nel maggio del 1572 Tupac Amaru fu catturato, portato al Cusco e decapitato.
L’ultima resistenza degli Incas era stata sconfitta, ma probabilmente alcuni sacerdoti che facevano parte dell’elite di Vilcabamba, riuscirono a raggiungere una remota cittadella fortificata nella cordigliera di Pantiacolla, denominata Paititi, che era stata già raggiunta da altri Incas, nella loro fuga dal Cusco nel 1533, in seguito all’avanzata degli invasori.
Il regno di Vilcabamba e i suoi resti archeologici caddero nell’oblio per più di 300 anni, fino a quando i tre peruviani Manuel Ugarte, Manuel Lopez Torres, e Juan Cancio Saavedra, giunsero presso il sito di Hatun Wilca Pampa, nel 1892.
Le rovine di Vilcabamba furono studiate anche da Hiram Bingam nel 1911, ma colui il quale identificò il sito archeologico di Espiritu Pampa, associandolo alla vera Vilcabamba, fu Antonio Santander Casselli, nel 1959.
Antonio Santander Casselli, che riunì i suoi scritti nella monografia “Andazas de un soñador”, tornò ad Espiritu Pampa nel 1964, insieme all’esploratore statunitense Gene Savoy, che contribuì a far conoscere Vilcabamba a livello mondiale.
Nel 1976 il professor Edmundo Guillen e gli esploratori polacchi Tony Halik and Elżbieta Dzikowska studiarono a fondo il sito, avvalendosi d’importanti supporti storici derivanti dallo studio del prestigioso Archivo de Indias di Siviglia.
Il sito archeologico fu visitato e studiato anche dall’esploratore statunitense Gregory Deyermenjian (nel 1981), e dallo studioso statunitense Vincent Lee (nel 2000).
Il recente ritrovamento presso Espiritu Pampa (2011), della tomba di un re, risalente all’epoca Wari, testimonia che il sito fu abitato sin da epoche remote e utilizzato quasi sicuramente come centro d’intercambio commerciale tra i popoli della selva bassa e gli abitanti degli altopiani andini.

E’ morto un uomo che non è mai esistito.

Scritto da: Massimo Mazzucco
Fonte: http://www.nexusedizioni.it
Intendiamoci, un signore di nome Osama bin Laden su questa terra è esistito, per un certo periodo di tempo, ma la sua vita reale non ha avuto nulla a che fare con quello che crede la gente. Il vero Osama bin Laden, di professione sceicco, si è dedicato negli anni ’80 all’organizzazione della militanza islamica contro l’invasione russa in Afghanistan. Per fare questo ha avuto l’appoggio, concreto e programmato, della CIA, che gli ha fornito non soltanto “armi e munizioni”, ma anche gli stessi uomini importati dai paesi arabi – i cosiddetti Mujaheddin – per combattere al suo fianco.

Da questa figura tridimensionale, già di per se sfuggevole ed ambigua, è nato il personaggio a due dimensioni ad uso strettamente mediatico, che tutti conoscono come Osama bin Laden. Naturalmente, per poter gestire con disinvoltura il personaggio a due dimensioni, è stato necessario uccidere quello reale. Risale alla primavera del 2002 un articolo, in lingua pakistana, che riportava la notizia della morte dello sceicco saudita. Anche Benazir Bhutto ne diede – in modo apparentemente involontario – la conferma. Ma questa notizia fu naturalmente ignorata dai media mainstream, che potevano così iniziare ad allevare il loro prezioso pargolo bi-dimensionale, che gli avrebbe fruttato centinaia di titoloni a nove colonne nel corso di quasi un decennio.

Sulla inconsistenza – ridicolaggine, anzi – di questo personaggio fittizio non ci dilungheremo di certo. Abbiamo già abbondantemente smentito la sua reale esistenza più volte, e lo abbiamo fatto in modo a nostro parere del tutto esaustivo.

Nè peraltro dobbiamo sforzarci più di tanto per dimostrare che anche questa notizia della sua uccisione non sia che un’ennesima, patetica messinscena: …

… non solo la foto “ufficiale” del cadavere – messa in circolazione, a quanto pare, dalle autorità pakistane – è un falso plateale, ma anche se esistesse una foto genuina del cadavere di bin Laden nulla potrebbe garantire che sia stata scattata ieri, e non otto anni fa.

Di fatto erano nove anni che non vedevamo più una immagine credibile di bin Laden da vivo, e questo dovrebbe bastare a risolvere la questione sulla vera data della sua morte.

Ci resta ora da valutare perchè sia stato scelto proprio questo momento per dare questa (falsa) notizia-bomba alle agenzie di tutto il mondo.

Per prima cosa, salta all’occhio un dettaglio molto interessante: tutti sanno infatti che sia buona regola dare le “brutte notizie” (scandali presidenziali, crolli in borsa, ecc.) il venerdì sera, in modo da approfittare del week-end – notoriamente “morto”, da un punto di vista mediatico – per attenuarne in qualche modo gli effetti negativi. Appare invece curioso che la notizia della morte di bin Laden sia comparsa sulle testate di tutti i giornali del mondo proprio il lunedì mattina, quasi si volesse ottenere l’effetto contrario: usare tutta la settimana per avere il massimo rimbombo su questa notizia, andando a coprirne eventualmente di altre meno accattivanti.

Si chiama “Wag the Dog” – dal titolo del famoso film – ed è un trucco che è stato usato spesso di recente dai presidenti americani (il più famoso di tutti è il caso di Clinton, che decise di far bombardare un impianto chimico in Sudan – creando una grande eco mediatica – proprio nel momento in cui stava per esplodere lo scandalo Lewinsky).

Ebbene, forse non tutti sanno che la scorsa settimana il presidente Obama ha rilasciato il suo “vero“ certificato di nascita. Lo ha fatto nel tentativo di placare una volta per tutte le polemiche sul suo reale luogo di nascita, che molti sostengono non essere stato quello delle Hawaii. Peccato per lui che il “vero“ certificato di nascita sia risultato essere un falso clamoroso. Ci hanno messo dai 14 ai 18 minuti, gli esperti di Photoshop, per cogliere in quel documento una serie di manipolazioni talmente evidenti da non lasciare nessuna speranza a chi voglia sostenere che sia autentico.

Finora i media americani avevano finto di ignorare quello che in Intenet già tutti sanno, e cioè appunto che il certificato sia falso, ma sembra evidente che prima o poi qualcuno della destra avrebbe raccolto queste informazioni, e la Fox non avrebbe certo risparmiato il presidente da una figuraccia planetaria.

Figuraccia che gli costerebbe di certo la rielezione.

A questo si aggiunga il fatto che proprio la settimana scorsa il Pakistan ha apertamente invitato il governo dell’Afghanistan ad abbandonare la sua alleanza con gli Stati Uniti e ad appoggiarsi invece, come già stanno facendo loro, al nascente impero cinese.

Quale occasione migliore, si potrebbe pensare, perché la Casa Bianca tirasse fuori questo splendido asso nella manica? Ora che Osama non c’è più, infatti, cadranno molte delle motivazioni che trattengono i soldati americani in Afghanistan (non era per questo che ci eravamo andati, dopotutto?), e questo potrebbe evitare che il governo afghano arrivi all’esasperazione e scelga davvero di passare dalla parte dei cinesi.

Resta infine una considerazione da fare: il popolo americano in prima fila, ed in qualche modo anche buona parte del resto del mondo, sono stati presi in giro per ben tre volte con la stessa invenzione: sono stati presi in giro quando gli è stato detto che fosse Osama il responsabile degli attacchi dell’11 settembre. Sono stati presi in giro quando gli è stato detto che eravamo in Afghanistan per cercare di catturarlo, e sono stati presi in giro ora che gli hanno detto che è stato ucciso soltanto ieri.

D’altronde, come dicono i saggi, “vulgus vult decipi”. Ergo decipiatur.

Perù: l’assalto alle terre indigene

Fonte: http://www.salvaleforeste.it

Malgrado la legge riconosca in teoria il diritto delle comunità native ai territori ancestrali, nella prassi gli adempimenti burocratici e i costi di registrazione (inclusi i costi della corruzione dei funzionari incaricati) sono per loro proibitivi. È il caso della Comunitá Nativa Capanahua di Victor Raul, quella il cui villaggio che aveva il diritto di titolarsi due concessioni forestali, non ancora assegnate, all’altra parte del rio Buncuya, circa 15.000 ettari.
Non avendo la possibilità di pagare il difficile percorso burocratico relativo, ha dovuto accettare i servizi di un noto boss del legname illegale della vicina cittá di Requena (la capitale provinciale): un operatore privo di scrupoli, i cui lavoratori, ridotti in stato di semi-schiavitù, finiscono con l’ammalarsi per le dure condizioni di lavoro nella foresta, contraendo malaria, dengue, dissenteria, o larve parassite. In cambio la comunità ha dovuto cedergli tre anni di potere legale sulla foresta, e adesso ha le mani legate di fronte al saccheggio del territorio appena ottenuto. Con il legname che ha estratto con poderosi “trattori forestali” in pochi mesi, si é già ripagato più volte le spese sostenute, e restituirà alla comunità di Victor Raul un territorio ormai degradato, sia da un punto di vista ambientale che produttivo.
In altri casi le terre indigene sono direttamente occupate da boss del legno. È il caso della  Comunità Nativa di Aypena sempre dei Capanahuas, che si è vista occupare la propria foresta da un altro “noto maderero” di Requena, registrata a suo nome con firme false, e con l’aiuto di funzionari corrotti e perfino di un proprio prestanome indigeno, fatto eleggere capo con la forza. Dopo 10 anni di sfruttamento intensivo del territorio e della sua popolazione, alla comunità nativa no resta nulla, né attrezzatura da lavoro, né una scuola, né un pozzo d’acqua, né una farmacia, men che meno strutture come pannelli solari, barche a motore, impianto radio. Ultima beffa: i territori sono stati ceduti alla compagnia petrolifera canadese Talisman Energy Inc  e tutti gli indennizzi sono andati al boss del legno.

G8 di Internet: Sarkozy vuole regolamentare il web

Scritto da: Francesca Mancuso
Fonte: http://www.nextme.it/

Dopo l’Hadopi, la legge a tutela del copyright sul web, per la quale il Presidente Nicolas Sarkozy è stato etichettato come il ‘grande censore del web‘, il capo di stato francese pare aver in qualche modo rivisto la sua idea, cercando di guardare oltre gli atteggiamenti punitivi legati al P2P, in una visione quantomai globale del fenomeno internet.

Forse alla luce delle vicende internazionali degli ultimi anni, dalla rivolta in Iran fino a quelle in Egitto e in Libia, Sarkozy pare aver capito che bisogna cavalcare l’onda del successo riscosso dal web e dai suoi mezzi o canali, che dir si voglia. Come? Invitando i rappresentanti dei paesi industrializzati ad interrogarsi riguardo ai temi caldi del web. Una vero e propio G8 di internet o di e-G8, il Forum Internazionale del Web, che avrà luogo proprio a Parigi il 24 e 25 maggio, presieduto dal presidente francese.

In realtà il premier francese ha approfittato del prossimo G8, che si svolgerà a Deauville il 26 e il 28 Maggio, inserendo all’interno dell’odg un punto sulla ‘regolamentazione di internet’: “In vista del summit di Deauville – ha detto Sarko – il 24 e 25 maggio, riuniremo a Parigi i rappresentati più eminenti del mondo di internet, che parteciperanno ad un Forum G8 in cui le discussioni andranno ad alimentare le riflessioni dei capi di Stato e di Governo“.

E di argomenti di cui parlare ce ne saranno a bizzeffe. A parte il fenomeno della pirateria, arginato almeno in Francia secondo Sarkozy dall’Hadopi, numerose sono le questioni in ballo: dalla possibilità di tassare i grandi del web, come Facebook e Google fino all’annosa patata bollente del diritto d’autore sul web.

In ogni caso, sembra quantomai difficile immaginare che il futuro del web possa essere deciso a tavolino. Si tratta infatti di un fenomeno dalla portata immensa, troppo complesso e sovranazionale per essere gestito in maniera semplicistica.

I Caimani del Piave

Fonte: http://www.vivamafarka.com/

23 Marzo 1919:
I “Caimani „ furono comandati dall’Ammiraglio Vittorio Tur, scelti inizialmente su base volontaria tra il personale proveniente dalle zone del Piave, esperta delle correnti e delle secche del Piave e poi in seguito selezionati anche da personale proveniente di altre regioni. Tutti i volontari erano sottoposti ad un duro addestramento che comprendeva per la prima volta l’insegnamento del jujitsu e di altre arti marziali.

Infatti negli anni dell’inizio secolo per la formazione al corpo a corpo i militari della Regia Marina, già destinati in Estremo Oriente  erano divenuti qualificati esperti di jujutsu e judo ed, alcuni di questi esperti, secondo quanto il Comandante Tur raccontava agli allievi delle Scuole di Pola nel 1928, erano stati utilizzati per il particolare addestramento impartito ai “Caimani „.

Composti tra i migliori elementi del Reggimento “Fanti de mar” della Regia Marina (che in seguito prese il nome di “San Marco”), varcavano il fiume a nuoto per andare a effettuare incursioni sulla sponda opposta.

I “Caimani del Piave„ per permettere ad ognuno la maggiore libertà di movimento possibile erano vestiti spesso con i soli calzoncini da bagno e ricoperti da una mistura di grasso e nerofumo per proteggersi dal freddo e mimetizzarsi nel buio; inoltre indossavano un’uniforme completamente nera (1) dalla testa ai piedi (calzoni, maglione, ecc.) atta a favorire le azioni notturne oltre le linee nemiche, come ricorderebbe anche la targa in marmo nelle camerate del Grupforcost di Venezia, su cui è scritto:

“In questi luoghi si addestrarono i marinai ardimentosi che si immolarono sul Piave per la difesa di Venezia e dell’Italia tutta. Essi furono ricordati come i “Caimani Neri del Piave”. Isola di S. Andrea, conflitto 1915/1918″.

E’ forse ipotizzabile, che tale tenuta a bassa visibilità sia stata adottata sull’esperienza  della Guerra Russo Giapponese dove misteriose figure vestite di nero, i ninja, abbordavano le navi russe e ritirandosi subito dopo averle sabotate. Certo è che tale esotica notizia sia arrivata in Europa attraverso le relazioni  degli osservatori e dei giornalisti inviati al fronte.

Invece pare certo che il soprannome “Caimani del Piave„ derivi dalla loro tattica attraversare il fiume, durante la notte, utilizzando una tecnica di nuoto ispirata agli alligatori ovvero esponendo dall’acqua, solamente la testa appena sopra alle narici quanto bastava per respirare (2).

Così i “Caimani „ con piccole zattere parzialmente sommerse, usate principalmente trasportare bombe a mano e materiali e fatte avanzare con il solo movimento dei piedi, raggiungevano la riva opposta del fiume per esplorarne i luoghi nella tenebra più completa, cercando di individuare le postazioni nemiche. Quando  un obiettivo adatto veniva trovato, si provvedeva a neutralizzarne tutte le sentinelle  solitamente silenziosamente con le armi bianche; poi l’avamposto veniva attaccato con le granate e distrutto.

Paragonabili alle azioni della marina gli atti di eroismo di cui furono protagonisti gli Arditi furono innumerevoli e nella maggior parte leggendari. Sono famosi gli episodi di Arditi che varcarono il Piave a nuoto per andare a neutralizzare gli avamposti nemici sulla sponda opposta, anch’essi vestiti con le sole mutande rimboccate al ginocchio ed armati di moschetto, tascapane con granate, giberne e pugnale tra i denti raggiungevano la sponda avversaria per eliminare le postazioni di mitragliatrice. Almeno in un’occasione il giorno 12 settembre 1918, sul Basso Piave, come mostrato da una tavola di Achille Beltrame, ingannando il nemico occupato a colpire imbarcazioni piene di fantocci.

Per tali azioni i soldati in particolare quelli di origine sarda, non preferivano utilizzare il pugnale di dotazione ai riparti, essendo difficile aggredire l’avversario alla gola a causa del colletto di stampo ottocentesco dell’uniforme austriaca: pertanto venivano utilizzati modelli regionali, il Pattada, che per la forma acuminata permetteva un efficace risultato nella penetrazione del collo dell’avversario (3).

Infine tra i compiti svolti da queste unità speciali ricordiamo quella dei nuotatori-portaordini sotto il capitano Bacci con 82 uomini, il cui compito era quello di portare i messaggi nuotando attraverso il Piave correndo il rischio di annegare facilmente: il tributo di questa unità speciale fu infatti terribile: 50 su 82 arditi nuotatori morirono in azione nel 1918.

A.Carlucci

(1)        Testimonianza Bernè

(2)        Testimonianza Elio Dessì di Guspini (CA)

(3)        Testimonianza Elio Dessì di Guspini (CA)

Il flusso del potere – flash back

Fonte: http://santaruina.splinder.com/

Si tratta qui brevemente di una scoperta essenziale del generale Marshall sul comportamento dei soldati in guerra, una scoperta che dovrebbe indurci a rivedere la concezione che dell’essere umano ci hanno portato ad avere a seguito di anni di indottrinamento.
L’articolo originale, in inglese, da cui sono tratte le citazioni iniziali è Twilight of the Psychopaths, del dottor Kevin Barrett.

IL SEGRETO DELLA GUERRA

Nel suo libro “On Killing” Dave Grossman ha riscritto la storia militare, mettendo in evidenza quello che le altre storie nascondono: il fatto che la scienza militare si occupa meno di strategia e tecnologia, piuttosto che scoprire il modo di far superare l’istintiva riluttanza degli uomini ad uccidere membri della loro specie.
La vera “rivoluzione negli affari militari” non fu la spinta di Donald Rumsfield verso l’alta tecnologia nel 2001, ma la scoperta nel 1941 del generale Marshall che solo il 15-20% dei soldati della seconda guerra mondiale in prima linea avrebbero usato le loro armi: coloro (l’80-85%) che non sparavano non fuggivano e non si nascondevano (in molti casi correvano enormi rischi per salvare i compagni), ma semplicemente non usavano le loro armi contro il nemico, nemmeno quando affrontavano attacchi banzai.

La scoperta di Marshall, e le ricerche conseguenti, dimostrarono che in tutte le guerre precedenti, una piccola minoranza di soldati – il 5% che sono psicopatici naturali, e probabilmente una piccola minoranza di imitatori temporaneamente  insani – furono responsabili di quasi tutte le uccisioni.
Le persone normali si ritrovano semplicemente dentro il movimento, fanno il possibile per evitare di togliere la vita al nemico, anche quando questo implica la perdita della propria vita.
Le guerre sono massacri ritualizzati fatti da psicopatici contro non psicopatici.
Lo studio del generale Marshall ha una importanza fondamentale, e se compreso in fondo rivoluziona totalmente la concezione dell’essere umano che da sempre ci viene propagandata.
Nei libri di storia le guerre sono descritte come inevitabili conseguenze di una serie di fattori, scontri in cui gli eserciti nemici si affrontano nel tentativo di eliminare l’avversario.
E viene fatto credere che la guerra, il massacro, sono insiti nell’essere umano.Questo è falso, decisamente falso.
E chi detiene il potere, e i vertici militari, lo sanno molto bene.
Come afferma il colonnello Grossman, le scienze militari si occupano essenzialmente di scoprire il modo per far superare al soldato medio la naturale riluttanza nell’uccidere un altro essere umano.
Perchè la maggioranza degli esseri umani, con tutte le loro miserie e i loro difetti, preferisce il quieto vivere e la tranquillità alle guerre.
Ed ogni qualvolta i grandi poteri decidono per una guerra, devono spendere molte energie per far superare questo blocco istintivo a quelli che diverranno i soldati da sacrificare sul tavolo dei loro piani. 

Le guerre di massa come è noto sono fenomeni moderni; in passato, in epoca pre-moderna, la guerra era affare di una piccola parte della società.
Dall’antichità dei guerrieri, passando per i nobili medioevali e per gli eserciti mercenari guerra significava lo scontro fra due eserciti composti da persone che non si dedicavano ad altro nella vita, se non combattere e prepararsi a farlo.
La prima Guerra Mondiale fu la prima che coinvolse i grandi strati della popolazione europea, e ci vollero decenni di propaganda romantica che esaltava il sacrifico e l’amor di patria per diffondere quello stato d’animo necessario a far partire milioni di giovani lanciati verso il massacro. Quei giovani capirono presto che la guerra non aveva nulla di eroico e di romantico, come era stato loro raccontato, ma ormai era tardi. Una minoranza di psicopatici in qualche modo riesce sempre a fare in modo che la grande maggioranza sia convinta, costretta, ad andare contro il proprio naturale istinto pacifico e partecipare a questi massacri.

si veda anche:

Ponerologia – La scienza del male
Sociopatia

Gli Stati Uniti vietano a Cuba di comprare anestetici per bambini

Scritto da: Articolo di José A. de la Osa
Fonte: http://www.stampalibera.com/

L’Avana. 3 Maggio 2011. Il presidente della Società Cubana d’Anestesia e Rianimazione, professor Humberto Saínz Cabrera, ha detto a Granma che, nonostante le reiterate denunce, gli Stati Uniti continuano a porre ostacoli nell’acquisto dai Laboratori Abbott, dell’agente inalatorio.

Sevoflurane, divenuto negli ultimi decenni il farmaco d’eccellenza per l’anestesia generale dei bambini. Sono note inoltre anche le sue qualità come protettore del cuore, contro infarti, ischemie e aritmie durante le anestesie chirurgiche di pazienti con malattie cardiache.

La stessa impresa degli USA non può vendere a Cuba nemmeno la Dexmetomidina, utilizzata nelle anestesie fondamentali, per le sue proprietà sedanti e analgesiche e perchè potenzia gli agenti anestetici maggiori.

Poco prima del IX Congresso d’Anestesia e Rianimazione che si svolgerà dal 11 al 13 di questo mese nell’Hotel Nacional, il professore  ha indicato che questa irrazionale politica di blocco riguarda tutte le voci della società cubana includendo  medicinali, tecniche e apparecchi per il sistema sanitario.

Il mistero di Leather Man

Fonte: http://www.ditadifulmine.com/

Avete mai sentito parlare di “The Leather Man”? Non si tratta del personaggio di un film horror, ma di una persona realmente esistita sulla cui identità non si ha alcuna informazione. Il suo comportamento quanto meno bizzarro ha contribuito a fissare indelebilmente la sua figura nel folklore newyorkese. Leather Man era un vagabondo vissuto nella seconda metà del 1800 tra New York e il Connecticut. Ogni 34 giorni, tra il 1858 e il 1889, si spostava dal fiume Hudson al fiume Connecticut e viceversa (in un percorso circolare di 570 km in totale), vestito di un “abito” realizzato con scarti di pelle recuperati durante le sue migrazioni. Leather Man dormiva nelle caverne che incontrava durante i suoi spostamenti, e viveva delle gentilissime offerte degli abitanti delle città che attraversava, come Waterbury, una cittadina che attualmente ha oltre 100.000 abitanti, e che al tempo era nota come “Brass City” (la città dell’ottone).

Nel corso degli anni, Leather Man è diventato una sorta di leggenda, dato che nulla si sapeva sulla sua identità. Oltre alla sua veste di pelle pesante circa 30 kg, e qualche altro oggetto personale pressochè inutile alla sua identificazione, al momento della sua morte a Ossining per cancro alla mascella il suo personaggio si fissò indelebilmente nella tradizione popolare locale.

Il mistero su chi fosse Leather Man è durato fino ad oggi, e non smette di affascinare molte persone. La Ossining Historical Society ha infatti ottenuto i permessi di aprire la tomba del vagabondo nello Sparta Cemetery di Ossining. Se dovessero essere trovate delle ossa in buono stato, i ricercatori potrebbero risalire alle origini dell’uomo.

Ma non tutti sono interessati a scoprire chi si nascondeva sotto il vestito di pelle. Don Johnson, insegnante di storia della North Haven Middle School, è il creatore di una campagna per la protezione della sepoltura di Leather Man. Secondo Johnson, Leather Man era un uomo comune, e merita di essere lasciato riposare in pace.

“Se si trattasse di una questione di sicurezza [la tomba si trova a pochi metri da una strada trafficata], perchè ci sarebbe bisogno di estrarre del DNA?” dice Johnson. “Non sono mai stati in grado dare un motivo accettabile da me e dai miei sostenitori. La ricerca scientifica, per loro, prevalica ogni questione di privacy. L’80% del pubblico non è a favore dello scavo”.

Lo scavo, comunque, si farà. Non si sa esattamente quando (solo i media lo sanno), ma è certo che si disseppellirà Leather Man. “Abbiamo deciso di consentire ai media di essere presenti, a certe condizioni” dice Norman MacDonald, presidente della Ossining Historical Society. “Non potranno fotografare alcune aree…l’intero processo di apertura della tomba e di spostamento del corpo è una questione molto delicata, ed è qualcosa che vogliamo fare in pieno rispetto. Non vogliamo che l’intera operazione si trasformi in un circo pubblico”.

Le informazioni che abbiamo su Leather Man non sono molte. Di certo non si trattava di un uomo comune: è sopravvissuto a tempeste, grandinate terrificanti, inondazioni, gelo invernale e fame utilizzando solamente un fuoco da campo, un coltello, e le donazioni degli abitanti delle città che attraversava.
Non si sa da dove provenisse: alcuni sostengono che fosse canadese o francese, dato che parlava un ottimo francese e un inglese non corretto, e aveva un libro di preghiere in francese al momento della sua morte.

Comunicava principalmente a gesti e grugniti, utilizzando raramente il suo inglese sgrammaticato. Non rispondeva mai quando gli si chiedevano informazioni sul suo passato. Rifiutava la carne donatagli di venerdì, ma accettava qualunque donazione di cibo da parte degli abitanti locali, che spontaneamente raccoglievano il cibo in eccesso per consegnarglielo al suo ritorno.

Sulla tomba di Leather Man, nel cimitero Sparta di Scarborough, la lapide recita:

FINAL RESTING PLACE OF

Jules Bourglay

OF LYONS, FRANCE

“THE LEATHER MAN”

who regularly walked a 365 mile route
through Westchester and Connecticut from
the Connecticut River to the Hudson
living in caves in the years
1858–1889

Jules Bourglay è il nome con cui è stato identificato Leather Man dal Waterbury Daily American nel 1884, ma secondo i ricercatori moderni l’identità di Leather Man rimane sconosciuta.

Su Leather Man è anche stato realizzato un documentario nel 1984 per la Connecticut Public Television.
E’ in inglese, ma mostra alcune interessanti immagini del misterioso vagabondo e la ricostruzione dei suoi viaggi e delle difficoltà che ha incontrato durante le sue migrazioni.

Nozze reali blindate, vietato contestare

Scritto da: Enrico Piovesana
Fonte: http://it.peacereporter.net

Londra militarizzata (al costo di 22 milioni di euro) per il matrimonio reale di William e Kate. Pugno di ferro contro i contestatori: decine di anarchici preventivamente arrestati e banditi dalla città

Cinquemila poliziotti, mille soldati, centinaia di agenti dei servizi segreti, cecchini sui tetti, anarchici banditi dal centro di Londra o preventivamente arrestati per ”sospetto di cospirazione volta a causare disordine pubblico e disturbo della quiete”.

Il matrimonio reale di William e Kate ha avuto un risvolto securitario senza precedenti, che è costato ai contribuenti britannici la bellezza 22 milioni di euro e ha suscitato polemiche per la sua durezza con cui è stata preventivamente impedita ogni pacifica contestazione.

Il programma degli anarchici londinesi prevedeva infatti un irriverente flash-mob in Soho Square: una ‘carnevalata’ orgiastica da mettere in scena sotto una finta ghigliottina. L’organizzatore della colorita protesta era il professore anarchico Chris Knight, cacciato dall’Università di Londra in cui insegnava antropologia per aver partecipato alle proteste contro il G20 del 2009.

Knight è stato preventivamente arrestato dalla polizia davanti a casa sua la sera prima del matrimonio. La stessa sorte è toccata al giovane anarchico Charlie Veitch, che si era occupato di promuovere la manifestazione su internet, e a una ventina di altri attivisti anarchici preventivamente arrestati nel corso di una serie di retate effettuate giovedì dalla polizia in tutte le case occupate di Londra.

Un centinaio di altri giovani militanti dell’area anarco-pacifista-ecologista residenti nei sobborghi londinesi, fermati in passato durante altre manifestazioni, hanno ricevuto un ordine di polizia in cui si vietava loro l’ingresso nel centro di Londra per il giorno delle nozze reali.

Il pugno duro ha sortito l’effetto desiderato e nessuno ha disturbato la celebrazione monarchica urtando la sensibilità dei sudditi: alla manifestazione di Soho Square si sono presentate poche persone mascherate, subito fermate dalla polizia.

Giulietto Chiesa: la vera fine di Osama, morto da anni

Fonte: http://www.libreidee.org/  e   http://www.megachip.info/

La foto di Osama Bin Laden “morto” è solo una patacca, miserabile e macabra: un puerile fotomontaggio che risale addirittura al 2006, trapelato già allora dai network dell’intelligence e pubblicamente smascherato. La verità? Lo “sceicco del terrore” sarebbe morto da anni, mentre la sua rete terroristica, Al Qaeda – famigerata e fantomatica – avrebbe cessato di esistere almeno dal 2002, se non prima. Pertanto, quella che è andata in scena il 2 maggio 2011 in tutto il mondo non sarebbe che l’ennesima puntata di una clamorosa fiction. Lo afferma Giulietto Chiesa, che con bestseller come “La guerra infinita” e il documentario “Zero” è stato il primo, in Italia, a smontare la versione ufficiale sull’11 Settembre e sul “terrorismo islamico” di marca afghana.

Pur ammettendo la doverosa necessità di attendere conferme e riscontri che ancora mancano, rispondendo alla mail di un lettore sul sito “Megachip”, Giulietto Chiesa conferma: è vero, abbiamo letteralmente «visto crearsi la notizia» della morte di Osama Bin Laden. E, almeno in prima battuta, se la sono “bevuta” tutti: non solo gli italiani, ma anche i «paludati» americani, i tedeschi, gli inglesi. Che non hanno esistato a mostrare al mondo intero «una falsa fotografia» di Bin Laden, ottenuta “taroccando” una celebre foto di lui in vita: l’immagine sotto accusa, scrive Chiesa, «era già stata dimostrata falsa nel 2006, mi pare, quando emerse per la prima volta dai meandri di qualche servizio segreto». Appendice comica: una giornalista italiana ha notato, nel fotogramma, «l’occhio che Osama aveva perduto», confondendo Bin Laden con il Mullah Omar.

E nessuno che, finora, si sia soffermato sulle modalità di uccisione dell’Osama che figura nell’immagine esibita: si è parlato di “un colpo di pistola alla testa”? «Non so da dove sia venuta la notizia – premette Chiesa – ma se fosse venuta da una fonte ufficiale, mi sarei chiesto subito: perché ucciderlo? Non era meglio tenerlo in vita e mostrare al mondo il trofeo?». Un conto, infatti, è uccidere un ricercato in uno scontro a fuoco: può succedere. «Ma ammazzarlo a freddo non quadra». Eppure, «tutti zitti ad accettare tutto quello che viene da Washington». Ovvero, dalle stesse fonti secondo cui il cadavere sarebbe stato “sepolto in mare”, e per giunta “secondo il rito islamico”: che non prevede affatto – anzi, vieta – la sepoltura in mare.

Tutte voci da prendere con le pinze, avverte Giulietto Chiesa: «Se non ci fanno vedere il cadavere io starei molto, molto attento ad accreditare qualsiasi virgola successiva, qualsiasi testimonianza, qualsiasi prova. Inclusa, ovviamente quella del Dna». Motivo? Presto detto: le autorità americane dopo l’11 Settembre fornirono prontamente il Dna di passeggeri e “terroristi” coinvolti nell’attentato al Pentagono: «Basta chiedersi quanto costa la parcella di un collegio di analisti del Dna, specie se si tratta di medici militari, e il problema è risolto», commenta Chiesa, sarcastico. Come dire: l’unica vera “prova” sarebbe l’esibizione del cadavere. Che invece, almeno per il momento, sembra sia scomparso. In mare? Mistero.

Per niente misteriose, invece, le notizie ormai datate sulla morte di Bin Laden: ne parlò la defunta Benazir Bhutto in una intervista ad Al-Jazeera, tuttora visibile sul sito web della televisione araba. Problema: la Bhutto è stata assassinata in un attentato nel 2007, dopo aver denunciato come «dittatore» il presidente pachistano Pervez Musharraf, alleato di ferro di George W. Bush nella “guerra al terrorismo”: è noto che l’Isi, il servizio segreto del Pakistan – addestrato dalla Cia – ha svolto un ruolo determinante nelle retrovie afghane, dall’omicidio del leader Ahmad Shah Massoud in poi, fino ai più recenti attentati attribuiti a gruppi “islamici”. Anche il vedovo di Benazir Bhutto, l’attuale presidente pachistano Zardari, dichiarò che, secondo le sue informazioni, Osama Bin Laden era «morto da tempo».

«Due dichiarazioni di non poco conto», osserva Giulietto Chiesa, sulla vera fine di Bin Laden: che risalirebbe quantomeno a prima del 2007. Per non parlare di Al Qaeda, il temutissimo network di Osama: secondo quanto ammesso da Alain Chouet, ex capo dell’antiterrorismo francese, in una audizione ufficiale al Senato di Parigi, Al Qaeda «non esiste più dal 2002». E comunque, anche quando esisteva, per Chouet era composta «da non più di una quarantina di elementi», ai quali non era comunque possibile attribuire «tutti gli attentati che le furono assegnati». Nonostante ciò, dice Chiesa, prepariamoci pure a sorbirci «il florilegio di scemenze su Al Qaeda “decapitata”».

Tutto falso: nessuna decapitazione, «sempre che sia davvero esistito qualcosa di simile a ciò che la Grande Fabbrica dei Sogni e della Menzogne ci ha venduto in questi anni», aggiunge Giulietto Chiesa, convinto che la sigla Al Qaeda sia stata essenzialmente un alibi per giustificare la “guerra infinita”, con truppe occidentali dislocate in aree vitali, petrolifere o comunque strategiche, contese da Cina e Russia. Ma l’opinione pubblica, si sa, preferisce credere agli «asini che volano»: basta che lo dica la televisione, come insegna il saggio “La società dello spettacolo” di Guy Debord.

Ma perché “far morire” Bin Laden proprio ora, se lo stesso Obama ha dichiarato che il super-ricercato era stato localizzato già dallo scorso agosto? «Troppe sono le ipotesi in campo, tutte ugualmente attendibili, e inattendibili», ammette Giulietto Chiesa, che propende per la chiave di lettura elettoralistica: un colpo di scena a favore della traballante presidenza Obama. «Non so se lo rieleggeranno, ma è certo che le sue sorti politiche erano in forse. La campagna elettorale per la sua rielezione è cominciata oggi: sotto il segno giubilante di “Obama il vendicatore dell’America”. Questa è una spiegazione possibile. Delle altre avremo occasioni di parlare» (info: www.megachip.info).